Vieni via con me
Il rischio, dopo quattro puntate straordinariamente premiate dal
pubblico, è quello di riporre nella teca l’argenteria di pregio e di
mostrarla, in vetrina, come se fosse un qualcosa, appunto di unico e
irripetibile. Aldilà delle interpretazioni sulle modalità narrative e i
tempi televisivi, per giudicare in maniera corretta la prestazione di
“Vieni via con me” non si può prescindere da un contesto nazionale
tremendamente anomalo. Differente, estraneo, rispetto a qualsiasi
canone televisivo e informativo che non sia quello di un Paese sotto
una dittatura. Se si parte da questa premessa non può che essere una
lode, il voto meritato dal programma. Pensiamo alla televisione, unico
mezzo di informazione per una grande maggioranza di italiani. La
presenza di “Vieni via con me” ha permesso di aggiungere una voce a un
panorama estremamente appiattito? La risposta è sì. Anche da parte di
chi ritiene che alcuni temi avrebbero dovuto essere affrontati in
maniera migliore. Ma la convinzione, e ci auguriamo sia condivisa, è
quella che avere degli spunti di confronto e di ragionamento in più
sia, in ogni caso, un effetto positivo. Meglio dell’abulia, meglio
dell’elettroencefalogramma che, negato il dibattito, non sono
sicuramente un sprone al miglioramento.
E le puntate hanno toccato alcune tematiche che, certo, una persona
non può esaminare ogni sera, accendendo il televisore. E se la forza di
suscitare curiosità è riuscita a impadronirsi di almeno una piccola
parte dei telespettatori questo sarà servito. Per portare magari ad
approfondire davvero, a scavare dentro quel tema che Saviano, in questo
caso, ha cominciato, da divulgatore, a gettare nella mischia. Gli
spettatori sono stati tantissimi, e, aumentati di puntata in puntata,
dai sette milioni iniziali, agli undici delle ultime puntate. Cifre da
brivido che lo stesso scrittore campano ha commentato in maniera
entusiastica a coronamento di quattro serate importanti: «quando
l’abbiamo scritto pensavamo a qualcosa di spurio e non ci aspettavamo
questo successo. Quando un monologo ha un picco di 11 milioni di
spettatori, più di una finale di Champions, è davvero una cosa
incredibile».
E il cuore di un programma lungo che si snodava tra interventi
comici, siparietti, e pungenti elenchi che spesso centravano il punto e
molti nodi del nostro Paese, ha saputo sempre toccare alcuni casi che
rappresentano nervi scoperti di una Italia che spesso non sa guardarsi
allo specchio. Lo sanno in tanti, oggi, che parecchi rifiuti tossici
sversati negli scorsi anni in Campania dalla camorra, provenivano dal
Nord. Ma che impatto ha dirlo in prima serata, davanti a dieci milioni
di spettatori? E parlare di ‘ndrangheta in televisione, di radicamento
nel Settentrione, di rapporti con la politica (qualunque essa sia, come
recentemente dimostrato dal coinvolgimenti di esponenti di centrodestra
e centrosinistra in situazione di connivenza coi clan), quanto pesa?
Sicuramente un macigno, al punto che su questo tema il ministro Maroni
ha addirittura imposto al programma di poter partecipare per ribadire
la sua versione sulla presenza delle mafie al Nord. Un tema, quello
mafioso, che ha tagliato trasversalmente le quattro puntate,
culminando, nella serata finale con la presenza di Don Luigi Ciotti, a
leggere un elenco sul valore della legalità per il futuro del Paese, e
quella di Pietro Grasso, Procuratore nazionale antimafia, a mettere in
riga, senza tanti convenevoli, quanto è necessario per il Paese nel
contrastare davvero le mafie.
E di fianco a questo i tagli alla cultura, l’eutanasia, il terremoto
in Abruzzo, quest’ultimo raccontato in maniera molto epidermica a
ricordare l’importanza di una storia che sotto molti aspetti racchiude
in nuce un Paese: la corruzione, gli errori, le costruzioni cadenti,
l’interesse mediatico ora scemato a distanza di mesi. Esisteranno modi
di migliori di informare, di fare televisione, ma questo potrà accadere
solo quando programmi come il fortunato “Vieni via con me” potranno
scontrarsi apertamente ed essere in buona compagnia, non un caso unico
e raro per il quale si innalzano peana al cielo, per poi riporlo, con
timore, a guisa di un sacrario, tanto prezioso quanto fragile. Che
quegli undici milioni vengano usati, fatti valere per esigere di più.
Più informazione, più storie e più confronto. Il raccontare le cose, va
da sé, rappresenterebbe già un gran passo avanti.
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