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Overloading

Di Gaetano Liardo il . Calabria, Emilia-Romagna, Lazio

Cosche del cosentino e della locride, un colonnello dei carabinieri e un immobiliarista romano. 77 fermi e beni sequestrati per il valore di oltre 200 milioni di euro. Arresti in Calabria, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana. Sequestrate 30 società di capitale, 10 ditte individuali, 9 fabbricati, 16 terreni, 28 automezzi, quote societarie, polizze vita e rapporti bancari. Armi da guerra ed esplosivi. Codici alfanumerici per indicare società e imprese. Cocaina e affari. Una rete internazionale che dal Sud America, abbraccia la Spagna, la Calabria e numerose regioni italiane. Il tentativo di tracciare nuove rotte e di utilizzare nuovi mezzi di trasporto. Sono questi alcuni dei retroscena dell’operazione Overloading, coordinata dalla Dda di Catanzaro ed eseguita dagli uomini della polizia tributaria e dello Scico della Guardia di Finanza, con l’ausilio del Comando provinciale dei Carabinieri di Cosenza. 

Coinvolti nell’operazione il clan Muto, egemone della fascia tirrenica cosentina, e le storiche famiglie di San Luca. Alleate nel business della droga. La cocaina, tramite i contatti della ‘ndrangheta calabrese con i narcos, veniva importata dall’America Latina e fatta arrivare, via Spagna, nel cosentino. Da qui veniva smistata per lo spaccio nelle varie regioni italiane. A capo del traffico il boss Francesco Muto, conosciuto come il “re del pesce”, che dal carcere riusciva ad impartire disposizioni ai figli. Coinvolti anche Antonio Strangio e Bruno Pizzata, entrambi di San Luca, che godevano di un importante appoggio a Roma. L’immobiliarista Federico Marcaccini, destinatario della maggior parte dei sequestri ordinati dalla Dda. Secondo l’accusa Marcaccini avrebbe fornito a Strangio e Pizzata svariati milioni di euro per l’importazione della droga sudamericana. In manette anche un colonnello dei carabinieri in servizio a Bolzano, nella cui abitazione sono stati ritrovati armi pesanti ed esplosivo. Sul ruolo che il militare dell’arma avrebbe svolto gli inquirenti mostrano molta attenzione. Dalle informazioni date dagli inquirenti, infatti, il colonnello Luigi Verde avrebbe svolto un ruolo nel trasferimento delle sostanze stupefacenti.

I boss, da quanto emerso, tentavano di far viaggiare la droga per vie alternative. Non più via mare ma servendosi degli aerei. Uno sforzo logistico in più, e rischi maggiori da affrontare. Il tutto per evitare di appoggiarsi ai porti italiani, quello di Gioia Tauro in particolare, sempre più nel mirino delle forze dell’ordine.  Il trasporto marittimo, tuttavia, resta il più utilizzato metodo per importare la cocaina. Il porto di Gioia Tauro, infatti, per la Dia: «si conferma essere uno dei più importanti approdi nel territorio nazionale dello stupefacente proveniente dall’America Latina». Inoltre, continua la Dia: «l’altissima movimentazione annua dei container scaricati dalle navi transoceaniche, poi smistati verso altri 60 scali, consente alle organizzazioni criminali calabresi un bassissimo indice di rischio di vedersi intercettati i carichi di stupefacenti, abilmente occultati tra le merci containerizzate». 

Nonostante ciò, l’attività degli investigatori è stata fruttuosa, spingendo i boss a cercare dei metodi alternativi. La Direzione centrale dei servizi antidroga (Dsca), nella relazione del primo semestre del 2010, analizza i sequestri di droga nei differenti punti di accesso del nostro Paese. Aeroporti, porti e valichi di frontiera. «La frontiera terrestre dove si sono registrati i maggiori sequestri di cocaina è stata quella del Traforo del Montebianco (Ao) (kg. 19,85)». «Gli aeroporti più interessati dai flussi – scrive la Dcsa – restano quelli di Malpensa e Fiumicino, dove sono stati sequestrati rispettivamente kg. 294,67 e kg. 277,14 di droga». Per quel che riguarda i porti: «maggiormente coinvolti sono risultati quello di Brindisi (kg. 717,00 sequestrati nelle acque antistanti) e di Gioia Tauro (kg. 130,14)».

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