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Sulla Rai il governo dà un calcio all’Europa

Vincenzo Vita il . Costituzione, Diritti, Informazione, Internazionale, Istituzioni, Politica, Società

Si vocifera che il prossimo 20 giugno o giù di lì Camera e Senato voteranno per quattro dei sette nuovi consiglieri di amministrazione della Rai.

Ciò avverrebbe in base alla legge n.220 del 2015 voluta intensamente da Matteo Renzi, che sovvertì quarant’anni di giurisprudenza costituzionale riportando il controllo dell’azienda sotto l’egida dell’esecutivo e ridimensionò il ruolo del consiglio.

Mentre fu lasciata al governo la facoltà di designare due componenti, tra i quali l’amministratore delegato dotato di super poteri e, di fatto, la stessa presidenza.

Si tratta di un piccolo esempio di banalità del male. Infatti, nel frattempo, è stato varato in Europa il Regolamento sulla libertà dei media (EMFA), che dedica uno specifico articolo -il 5- proprio alle «Garanzie per il funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico», in cui si sottolinea la necessità di procedere alle nomine in base a procedure aperte e non discriminatorie. Ciò significa che l’indicazione diretta di partiti e gruppi parlamentari non è legittima.

Insomma, tutto il contrario rispetto a quanto prevede l’attuale disciplina italiana.

Come ha scritto Il Fatto Quotidiano dello scorso sabato 1° giugno, una vera e propria sgrammaticatura istituzionale si è verificata in seno alla Commissione sulle Politiche europee del Senato lo scorso 16 maggio. Che è successo? Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del consiglio ha inviato una nota illustrativa (meglio, interpretativa secondo canoni politicamente orientati) alla citata commissione descritta dal Presidente della stessa, l’ex ambasciatore e ministro degli esteri ai tempi di Mario Monti ora parlamentare di Fratelli d’Italia, Giulio Terzi.

Se l’aggiornamento sull’attuazione dell’EMFA è plausibile, non lo sono per niente le valutazioni di merito del Dipartimento fatte proprie da Terzi.

In particolare, si sostiene – a dispetto dei santi – che tra il Regolamento e la legge del 2015 recepita dal Testo Unico (d.lgs 208/2021) non vi è contraddizione. Sembra una parodia di dubbio gusto del dibattito oggi modaiolo sul vero e sul falso, Ma qui l’aggravante sta nel fatto che è il governo ad assumersi la responsabilità di negare la ovvia gerarchia delle fonti, in base alla quale il Regolamento europeo è sovraordinato rispetto alla normativa nazionale.

Anzi. Proprio la tempistica applicativa (quindici mesi dall’entrata in vigore) dell’articolo in questione sembra un caldo invito agli Stati di aggiornarsi in base alle indicazioni dell’Unione europea, e non certo il permesso di rimuovere e cancellare il testo. Stupisce, poi, che sia proprio un ex titolare della Farnesina a rendersi complice di simile sgradevole vicenda.

Non solo. La competenza sulla materia non starebbe in capo alla Commissione parlamentare di vigilanza e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? Perché mai entra in scena il Dipartimento?

Comunque la si guardi la storia, alla vigilia delle elezioni europee, va chiamata con il suo nome: un bel calcione all’Europa, a favore di un sovranismo costruito con errori plateali e strafalcioni interpretativi.

Peraltro, il prossimo voto del Parlamento sul consiglio è oggetto di ricorsi da parte di taluni candidati al medesimo organismo. Se il tribunale amministrativo del Lazio non ha respinto l’istanza dei ricorrenti lo scorso 30 maggio rinviandola ad un giudizio di merito fissato il 23 ottobre, già nelle prossime ore sarà presentato appello al Consiglio di Stato, affinché la procedura delle nomine si sospenda in attesa di una disciplina aggiornata secondo le indicazioni di Bruxelles.

L’iniziativa, coordinata da Roberto Zaccaria (docente ed ex Presidente della Rai) e da diverse personalità del settore nonché da numerose associazioni, ha comunque già avuto un effetto concreto: il capitolo della Rai si è riaperto, uscendo dal dimenticatoio.

Spetta alle forze politiche, a cominciare da quelle dell’area progressista, rimettere all’ordine del giorno con urgenza la riforma del servizio pubblico, prima della degenerazione di un apparato asservito a Palazzo Chigi: TeleMeloni ultimo atto?

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