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Caltanissetta: la mafia imprenditrice

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Il rapporto semestrale redatto dai dirigenti della Direzione Investigativa Antimafia accende la luce sugli ultimi sviluppi prodotti dall’attività di contrasto ai gruppi criminali della provincia di Caltanissetta. «La mafia nissena-si legge nella relazione-ha perso la sua tradizionale forza militare, preferendo investire sui molteplici business che, di volta in volta, possono produrre importanti profitti». Il potere economico dei gruppi criminali nisseni, con al vertice cosa nostra gelese, si è manifestato negli ultimi anni, stando al rapporto, anche nei settori dell’autotrasporto e dell’ortofrutta: strategicamente connessi ed imperniati sui mercati di Vittoria, Gela e Niscemi. Le operazioni “Sud Pontino” e “Bilico”, in questo senso, hanno consentito di tracciare tutte la principali caratteristiche di un affare sempre più prolifico, in grado, secondo gli investigatori, di rafforzare alleanze di ferro tra cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.

Il rapporto cita l’azione della famiglia Rinzivillo di Gela, da anni impegnata nel settore dell’autotrasporto, soprattutto nel comparto delle carni, e l’influenza da questa esercitata sul mercato. Cosa nostra, in provincia di Caltanissetta, continuerebbe a convivere con il gruppo della stidda, sempre più limitato quanto a sfera d’incidenza ma comunque disponibile ad entrare in affari dai lauti guadagni. Estorsioni e spaccio di stupefacenti rimangono, secondo la relazione, le due principali voci nei bilanci della mafia nissena.

Ma mentre gli incassi generati dall’imposizione del pizzo non reggono il confronto con quelli ottenuti negli anni ’90, a seguito di una rivolta morale dalle ulteriori potenzialità, lo spaccio di stupefacenti viene, lentamente, devoluto a gruppi sciolti dall’appartenenza alle famiglie d’onore.
Sempre più spesso, infatti, la droga viene movimentata da entità assolutamente autonome dalle organizzazioni mafiose, non più in grado di imporre il loro proverbiale pugno di ferro. Per la leadership dei gruppi nisseni, inoltre, non si sarebbe ancora trovato l’erede del boss Giuseppe Madonia, rimasto saldamente al comando dell’organizzazione nonostante i molteplici ergastoli subiti.

Gli investigatori della Dia non escludono, però, l’esistenza di alcuni tentativi tesi alla ricostruzione della commissione provinciale di cosa nostra, necessaria, secondo l’indagine, ad assicurare una maggiore stabilità negli equilibri criminali della zona.

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