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Salento, aste giudiziarie truccate

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia



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Una bufera si abbatte sul Salento. Lo
spettro del malaffare e della criminalità organizzata si allunga
sulle aste giudiziarie per i beni mobiliari e immobiliari. Sono
serviti due anni di indagini condotte dai militari del comando
provinciale della Guardia di finanza di Lecce, agli ordini del
colonnello Patrizio Vezzoli, e coordinate dal sostituto procuratore
della Dda di Lecce, Elsa Valeria Mignone, per concludere un’
inchiesta che ha portato a scoprire un sistema di aste pilotate e
truccate, non solo con la complicità di professionisti
insospettabili, ma anche grazie alle connivenze e relazioni tra
uomini d’ affari e pubblici ufficiali. In questo inquietante
scenario, sullo sfondo, pronti ad allungare i tentacoli due dei clan
storici della Sacra corona unita salentina: quello dei Padovano di
Gallipoli e quello dei Coluccia di Galatina. Entrambe le famiglie
avevano focalizzato i loro appetiti sugli interessi economici
ruotanti intorno alle aste giudiziarie. All’alba di ieri le Fiamme
gialle hanno eseguito undici ordinanze di custodia cautelare: cinque
in carcere e sei agli arresti domiciliari.

Quaranta in tutto gli indagati (tra cui
avvocati e commercialisti) implicati nell’operazione “Canasta”,
così battezzata un po’ per evidente assonanza con l’ argomento
in questione, un po’ per il riferimento al gioco di carte. Le
persone coinvolte in questa inchiesta sono accusate a vario titolo di
estorsione, turbativa d’asta, abuso d’ ufficio, peculato,
corruzione, falsità materiale e ideologica.

Da sottolineare che sei indagati, per
lo più dipendenti di Equitalia (la società incaricata dell’attività
di riscossione dei tributi), nei prossimi giorni potrebbero essere
sospesi dalle loro funzioni o attività lavorative. Al centro
dell’inchiesta due le figure cardini: quella di Carmelo Tornese,
sessantaquattro anni, direttore dell’istituto vendite giudiziarie
(gestito da una società facente capo ai figli), e quella di
Giancarlo Carrino, quarantanove anni, “faccendiere” originario di
Nardò. Il primo si preoccupava di pilotare le aste giudiziarie di
Lecce, il secondo, da tutti considerato un commercialista, in realtà,
con la sola terza media, era riuscito a inserirsi con successo nel
mondo delle aste giudiziarie, millantando in diverse occasioni la
falsa qualifica di funzionario del Tribunale abilitato mediante una
“licenza particolare”. Dalle numerose intercettazioni telefoniche
si deduce come sia stato sempre il “faccendiere” neretino a
coltivare in prima persona i rapporti con i fratelli Padovano:
Salvatore, alias “Nino bomba”, e Rosario. Tra i nomi di spicco
dell’operazione “Canasta” troviamo quello di Ferruccio
Piscopiello, amministratore delegato della Seta Eu Spa, società
mista a capitale prevalentemente pubblico, che opera nel servizio di
raccolta e trasporto rifiuti urbani e assimilati in molti comuni del
basso Salento, tra cui quello di Gallipoli. Stando all’accusa
Piscopiello si sarebbe indebitamente appropriato di ingenti somme di
denaro (almeno settantamila euro) appartenenti alla società da lui
amministrata. Per occultare i presunti ammanchi avrebbe escogitato di
creare fatture di pagamento false intestate ad una società di
Carrino e inventato cartelle esattoriali del tutto inesistenti emesse
da Equitalia a carico della società Seta Eu.

Dalla figura di Piscopiello prendono
spunto altri due filoni dell’inchiesta. Il primo porta al
coinvolgimento di due politici: Enzo Benvenga, consigliere comunale
gallipolino Pdl, e Sandro Quintana, consigliere provinciale dell’Udc.
Il secondo conduce alle cosiddette fughe di notizie. Ma procediamo
con ordine. Benvenga avrebbe intascato dall’amministratore delegato
della Seta versamenti periodici di denaro (a garanzia dei quali
sarebbe stato emesso un assegno, mai riscosso, di 35mila euro) in
cambio di favori accordati alla sua società. Quintana, invece,
avrebbe chiesto denaro per non partecipare ad un’ asta. Per quanto
riguarda le fughe di notizie sono eloquenti le affermazioni del gip
Antonio Del Coco: «L’
indagine avrebbe potuto avere ben altri sviluppi – afferma il
magistrato – se non si fosse verificata una ripetuta fuga di
notizie che ne ha, in parte, compromesso l’ esito, almeno riguardo
alle posizioni di Piscopiello e Benvenga. Infatti, è accertato che
gli indagati siano venuti a conoscenza delle investigazioni svolte
sia in questo procedimento che in una indagine parallela condotta dal
Ros dei carabinieri». Il
ruolo della talpa, secondo l’accusa, l’ avrebbe avuto il tenente
colonnello dei carabinieri Elio Dell’ Anna, ex comandante della
sezione di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica di
Lecce. L’ ufficiale dell’Arma avrebbe fornito al suo amico
Piscopiello informazioni coperte da segreto istruttorio su alcune
indagini riguardanti lui e Carrino. Soprattutto l’ avrebbe avvisato
di intercettazioni disposte nei loro confronti e della successiva
cessazione delle stesse. Come evidenziato anche dal Procuratore capo
Cataldo Motta, le cosche hanno abbandonato la fase militare ad alto
rischio di esposizione, per intraprendere quella finanziaria mirante
all’accaparramento dei beni, come quelli oggetto di aste
giudiziarie. Quindi per combatterle efficacemente, come sostiene l’
alto magistrato, la strada da battere è quella della confisca dei
beni. Case, terreni, conti bancari ed attività commerciali.

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