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“Le donne delle stragi” e i ‘pupari’ della mattanza mafiosa del biennio 1992/1993

Massimiliano Giannantoni, Federico Carbone il . Criminalità, Forze dell'Ordine, Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria

Per gentile concessione di Chiarelettere, Libera Informazione è lieta di ospitare un abstract de “LE DONNE DELLE STRAGI”, il nuovo libro del giornalista Massimiliano Giannantoni (scritto con la collaborazione del criminologo Federico Carbone) che fa il punto sulle inchieste relative alle stragi mafiose comprese in un arco di tempo che va dal 1992 al 1993.

Grazie ad alcuni documenti inediti e alla puntuale ricostruzione dei principali passaggi investigativi e processuali, il libro documenta la presenza di alcune figure femminili nei ruoli apicali degli attentati di quel tragico periodo. Donne che evidentemente erano parte di un un sistema criminale ben più ampio di quello mafioso e che collaborò con cosa nostra per dare vita a quella stagione del terrore.

Una mano femminile invisibile

Tra il 1992 e il 1994 una serie di stragi ha segnato indelebilmente le cronache e la storia d’Italia. Indagini e processi hanno portato alla scoperta e alla condanna dei loro autori materiali; tuttavia, rimane il dubbio che le sentenze non abbiano fatto giustizia, almeno non completamente. Mancherebbero infatti i mandanti, e decine di altre domande resterebbero senza risposta. Molte verità si nasconderebbero ancora tra buchi neri investigativi, omissioni e insabbiamenti che neanche la cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta a Palermo il 16 gennaio 2023, sembra aver definitivamente chiarito.

Secondo le Procure di Firenze, Caltanissetta e Reggio Calabria, che stanno continuando a indagare, sullo sfondo di quelle azioni criminali è sempre più evidente la presenza di figure esterne a Cosa nostra e alla ’ndrangheta; figure misteriose e finora mai identificate, tra cui emergerebbero alcuni profili femminili. Una vera e propria novità nella storia della mafia: prima d’allora, infatti, nessuna donna risultava aver mai partecipato a gruppi di fuoco.

Per il magistrato Gianfranco Donadio, l’ingresso delle figure femminili sui luoghi delle stragi mafiose segna un cambio di direzione nelle indagini per scoprire tutti i colpevoli di quei fatti criminali. «Trenta anni fa non si conoscevano esponenti femminili di Cosa nostra, men che meno si era mai parlato di donne attive negli eventi stragisti. Per questo il mio sospetto è che queste donne andassero ricercate nella sfera dell’intelligence. Ci sono documenti che lo provano, c’è per esempio un rapporto della DIGOS [Divisione investigazioni generali e operazioni speciali, n.d.r.] in cui si parla esplicitamente di una donna terrorista che sarebbe appartenuta a una, diciamo così, organizzazione parallela, che avrebbe agito al fianco della mafia corleonese nelle stragi del ’92 e soprattutto in quelle del ’93. La presenza di figure femminili disarticola completamente l’idea che a commettere quelle stragi sia stata solo Cosa nostra. Queste donne, anche se io credo che esistano forti evidenze su un profilo femminile ben definito, hanno goduto, e godono ancora oggi, di coperture ad altissimi livelli. Se analizziamo le testimonianze emerge un fatto inequivocabile: queste donne viste a Roma, Firenze e Milano, secondo i testimoni oculari, indossavano delle parrucche. Il mimetismo appartiene alla storia della mafia o ci riporta invece ad altri mondi? Infine, va sottolineata una frase – che mi ha fatto particolarmente riflettere. L’ha detta Cosimo Lo Nigro, uno degli uomini condannati per gli attentati del 1993. Lo Nigro disse: “Dopo tutto questo tempo, non sono stati capaci di rintracciare questa signora”. E questo fa capire quale mistero abbia avvolto l’azione di questa donna killer.»

La presenza delle donne nelle stragi di mafia del biennio ’92-93 è una novità che secondo il magistrato Nino Di Matteo ha un significato ben preciso. «Nelle indagini accanto, per certi versi parallelamente, alla figura di Giovanni Aiello, “Faccia da mostro”, sono emerse alcune possibili responsabilità nella partecipazione, soprattutto nelle stragi del 1993, di soggetti femminili. Oggi a trent’anni da quei fatti ci sono indagini in corso da parte delle Procure di Firenze e di Caltanissetta. Al di là di questo non può dirsi nulla, senonché una considerazione che viene abbastanza naturale fare: se è vero che a quelle azioni esecutive hanno partecipato delle donne sarebbe l’ulteriore dimostrazione che quelle stragi non furono soltanto frutto di mafia, perché non è assolutamente conforme al modo di agire dei mafiosi e appartenenti a Cosa nostra in particolare coinvolgere figure femminili in azioni di sangue in attentati di quella importanza e di quella eclatanza. Le donne hanno potuto avere un ruolo, lo dimostrano i processi e altre sentenze, diverso in Cosa nostra soprattutto quando si trattava di mogli o comunque congiunte di boss mafiosi incarcerati. Ma è un ruolo che non è mai stato operativo da un punto di vista dell’azione omicidiale e tantomeno della strage. Se verrà dimostrato che a quell’attentato, in particolare l’attentato di via Palestro nel 1993 a Milano, effettivamente partecipò una donna, che del commando faceva parte una donna, sarebbe un’ulteriore dimostrazione che nella fase esecutiva di quel delitto concorsero entità esterne a Cosa nostra».

Per l’ex magistrato Roberto Scarpinato invece «la presenza di donne e la presenza e compartecipazione alle stragi di altri soggetti rispetto a quelli mafiosi sono state evidenziate dal lavoro fatto dalla DIA [Direzione investigativa antimafia, n.d.r.] sin dal 1993. C’è una informativa che dice che non sono stati solo gli uomini di Cosa nostra a fare quelle stragi. C’è dietro un sistema criminale complesso di cui fanno parte esponenti della massoneria deviata, la destra eversiva, esperti di tecniche del terrorismo e della comunicazione di massa. Gli uomini e le donne di quegli attentati provengono da questi mondi. Mi ricordo quello che accadde con Santo Di Matteo, uno degli esecutori della strage di via D’Amelio. Disse che voleva rivelare cosa c’era dietro l’eccidio di Borsellino e della sua scorta, e allora per farlo tacere gli rapiscono il figlio. Abbiamo intercettato una conversazione tra Di Matteo e la moglie, Francesca Castellese. La donna implorava il marito con queste parole: “Hai capito perché hanno rapito nostro figlio Giuseppe? Non parlare mai degli infiltrati della polizia nella strage di via D’Amelio”. Siamo di fronte a un potere che ha autorizzato la mafia come esecutore materiale delle stragi, poi con un intervento chirurgico hanno fatto sparire le prove della presenza di questi soggetti, donne e uomini, altri rispetto ai mafiosi».

La desecretazione di alcuni documenti e le evidenze emersenel processo «’ndrangheta stragista» hanno cominciato a fare luce sulla nebbia criminale che ha avvolto questi fatti e sulla presenza di esecutori non appartenenti alle cosche mafiose.

Michelangelo Di Stefano, vicequestore in servizio alla DIA di Reggio Calabria, ha accertato che dietro alla sigla «Falange armata», che ha rivendicato quasi tutti gli attentati del biennio ’92-94, hanno agito uomini dei servizi segreti e militari della VII divisione e appartenenti a gruppi d’élite come il Col Moschin, il COMSUBIN e anche la Folgore. Di Stefano ha unito i punti di una tela intricata che ha reso chiaro il connubio tra Cosa nostra e ’ndrangheta con elementi riconducibili ai gruppi OSSI (Operatori speciali servizi italiani) e GOS (Gruppo operativo speciale), conosciuti per le loro attività non convenzionali.

Nella ricostruzione emersa nel processo «’ndrangheta stragista» è stato anche dimostrato che questi militari hanno messo in piedi campi di addestramento ai confini con la Svizzera, a cui avrebbero preso parte uomini della mafia siciliana e calabrese. È nelle liste dei partecipanti a quei «campi militari» che potrebbero essere trovati gli uomini e soprattutto le donne protagoniste delle stragi di Capaci, Firenze e Milano e degli attentati a Roma.

Oggi, a più di trent’anni dai fatti, almeno quattro di quei profili femminili iniziano a delinearsi con maggiore nitidezza.

Anche se non conosciamo con certezza i nomi di tutte, sappiamo che si tratta di donne pericolose e vicine ad ambienti criminali mafiosi o di estrema destra, militari e paramilitari. A lungo si sono nascoste dietro false identità e vite solo all’apparenza normali. I loro volti sono stati visti da testimoni presenti sui luoghi delle stragi e immortalati in una serie di identikit. Le indagini sui crimini in cui sarebbero state coinvolte, sebbene in parte archiviate, dopo tre decenni non sono ancora concluse.

Ma come si è risaliti a queste guerriere della criminalità?

Quali indizi e tracce hanno lasciato dietro di sé?

La presenza femminile nella serie di attentati firmati da Cosa nostra è ugualmente emersa nel 1993, un anno dopo la strage di Capaci, nelle esplosioni di Roma in via Fauro, di Firenze in via dei Georgofili e di Milano in via Palestro.

Da diversi anni la Procura di Firenze – nelle persone dei due procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco e, fino a febbraio
2022, dell’allora procuratore capo Giuseppe Creazzo – indaga sull’identità delle donne registrate sui luoghi dei tre attentati.

Le donne killer e i loro complici furono visti da diversi testimoni.

Parisi e De Gennaro avevano probabilmente compreso che in quelle stragi c’era qualcosa che non era chiaro e sospettavano che la mano che aveva messo le bombe non appartenesse a un picciotto di Palermo o Reggio Calabria, ma a un gruppo paramilitare addestrato nell’utilizzo di esplosivi che poteva aver agito coordinandosi con gli uomini della mafia.

Questi ultimi avrebbero fornito e trasportato il materiale esplosivo nei luoghi degli attentati, lasciando che fossero quei professionisti della guerra a collocarlo sugli obiettivi.

E tra quei professionisti della guerra, come è emerso dalle testimonianze e dalle indagini, c’erano anche alcune donne.

Attraverso il racconto dei protagonisti, l’analisi dei documenti e delle nuove prove emerse, si è potuti risalire ad alcune figure femminili chiave del periodo stragista. Tra loro ci sono «la Libica», Antonella, Rosalba e la più pericolosa e misteriosa di tutte: Nina.

Donne che potrebbero essere tutte collegate all’ex poliziotto Giovanni Aiello detto «Faccia da mostro», accusato di aver fatto da cerniera tra Cosa nostra, ’ndrangheta e servizi segreti deviati nel periodo della trattativa Stato-mafia.

Quattro figure femminili diversissime tra loro che hanno attraversato il periodo più sanguinario della nostra storia recente e che, per la prima volta, vengono qui investigate e raccontate.


Abstract: Massimiliano Giannantoni (con la collaborazione di Federico Carboni, “LE DONNE DELLE STRAGI”, Chiarelettere, Milano 2024


Gli autori

Massimiliano Giannantoni (Roma 1968) ha lavorato in radio e in televisione. Dal 2003 lavora a Sky Tg24, dove ha curato inchieste sul caso Moro, sulla P2 e sulla Banda della Magliana. Nel 2008 una sua intervista al presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga fece riaprire il caso Ustica. Ha pubblicato L’operazione criminale che ha terrorizzato l’Italia (con Paolo Volterra, Newton Compton, 2014) e Skorpio. Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto (Round Robin, 2018).

Federico Carbone, studioso e profondo conoscitore delle più oscure trame italiane tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, è criminologo, psicopedagogista forense, criminal profiler, responsabile comunità alloggio minori, educatore e giornalista pubblicista.


Le donne delle stragi

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