Maria Antonietta, un fiore nel nome
Volevo venire a trovarti, ma non sapevo dove. L’ultima volta che ti hanno vista, quel 10 novembre dell’84, eri per strada con la tua A112, poi niente più: svanita nel nulla.
Ho pensato allora di venire lì in contrada Cazzivella, dove secondo gli investigatori quel giorno saresti stata uccisa e forse anche sepolta; pensavo di portarti un fiore e deporlo su quella fredda terra che quel lontano giorno si è intrisa con il tuo sangue caldo. L’avrei poggiato su una zolla qualunque, perché quando si bagna la terra con il proprio sangue, ogni zolla è uguale all’altra: tutte assetate di giustizia. E avrei anche fatto una breve preghiera chiedendo con curiosità al Signore cosa vi siete dette con tua mamma quando un mese fa in Cielo vi siete finalmente riabbracciate.
Ma i segni non parlano se non si vedono e restano muti se non sono accompagnati dalle parole. E allora mi è venuto in mente che il tuo nome, o meglio, i due nomi che lo compongono, se messi insieme potrebbero significare “Amata che combatte”; e all’improvviso mi sono reso conto che davvero a volte nei nostri nomi c’è tutta la nostra storia. E a pensare, invece, che in tutti questi anni tu per tutti sei stata solo la “maestra scomparsa”: una professione e un verbo, niente più, senza nome e senza volto.
Ho pensato, allora, che il migliore fiore da donarti è proprio la restituzione del tuo nome, la bellezza di quello che significa e il senso profondo che porta con sè. Non hai fatto in tempo a spiegarlo ai tuoi due bambini e a quanti ti hanno voluto bene, permettimi però oggi di dire a quanti vorrebbero portarti un fiore, che il fiore più bello eri tu e che il modo migliore per ricordarti in questo ennesimo anniversario è restituirti almeno la dignità del nome.
* coordinatore di Libera Basilicata
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