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I Castelli Romani sotto la minaccia dell’ inceneritore

Di Marzia Pitirra il . Lazio

Il problema della gestione dei rifiuti non appartiene solo alla Campania, non c’è solo la gente di Terzigno e Giugliano a manifestare in queste settimane per la salvaguardia del proprio territorio. Se ci spostiamo nel Lazio, zona Castelli Romani, lo scenario non cambia. Manifestazioni, coordinamenti di protesta, cittadini preoccupati per lo sfruttamento e la violenza perpetrata alla loro terra e arrabbiati per dover combattere in difesa della propria salute e di quella dei loro figli . La minaccia non è una discarica, o almeno non solo. A rabbuiare gli animi degli abitanti dei Castelli è il progetto di un nuovo inceneritore nella zona di Albano laziale. Una vicenda con tanti punti oscuri, dove non è chiaro come si sia potuto approvare un progetto per il quale la prima valutazione ambientale aveva dato esito negativo, in una zona già compromessa da ingenti danni ambientali.
LA STORIA
La storia ce la racconta Daniele Castri, responsabile legale del coordinamento No Inceneritore. “Il progetto della localizzazione ad Albano di un inceneritore nasce nel 2006 e decolla nel luglio 2007. La Pontina Ambiente mandò nel luglio 2007 un ultimatum ai 10 sindaci del bacino della Discarica di Roncigliano (Albano) affermando che c’era una crisi volumetrica del sesto e ultimo invaso. In poche parole la discarica era satura, bisognava smaltire il CDR (combustibile da rifiuti composto da carta, plastica legno e derivati) altrimenti minacciavano di chiudere. In vista di una paventata emergenza rifiuti la soluzione proposta fu quella di costruire un nuovo inceneritore. Il 21 dicembre 2007 nacque il consorzio Coema (AMA, ACEA e Pontina Ambiente, gruppo Cerroni) e, pochi giorni dopo, Marrazzo firmò un decreto di pubblica utilità affidando la gestione dell’ impianto a Coema, tutto senza indire alcuna gara d’appalto”. Ed a questo punto che iniziano ad emergere i punti oscuri della vicenda. Nel marzo del 2008 la prima VIA, valutazione di impatto ambientale, aveva dato esito negativo. Gli studi realizzati da esperti e tecnici avevano decretato che questo inceneritore non era realizzabile nell’ area dei Castelli Romani. Decisivo sembra sia stato l’intervento di Mario Di Carlo, ex assessore regionale con delega ai rifiuti, che in un fuori onda della trasmissione Report non nascose i suoi stretti rapporti con l’avvocato Cerroni, responsabile della discarica di Roncigliano e già proprietario della discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa. È bastato rinnovare, sulla carta, il progetto, ed ecco che nell’ ottobre 2008 la VIA è diventata positiva. “C’è solo un dettaglio – afferma Castri – un progetto innovativo di termovalorizzatore come quello presentato per ottenere una valutazione ambientale positiva, è stato approvato solo nel giugno 2009. Quindi su quali basi Coema ha potuto ottenere VIA positiva con un progetto che ancora nell’ottobre 2008 non c’era?”
Il secondo punto non chiarito riguarda la discarica. Quella che sembrava dovesse chiudere nel 2007 perché anche l’ultimo invaso era colmo, a distanza di 3 anni è regolarmente in funzione, senza aver smaltito CDR poiché l’inceneritore non è ancora in piedi. La storia dell’ emergenza volumetrica e le minacce di chiudere la discarica furono utili ad accelerare le procedure ed avere i permessi per realizzare l’inceneritore. Secondo i dati del coordinamento “No Inc”, la società ha anche falsato l’inizio dei lavori per ottenere i finanziamenti comunitari previsti dal CIP 6 (incentivi per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate” ). Per rientrare nei termini di questo tipo di finanziamento, che è stato bloccato a fine 2008, Coema ha stabilito l’inizio della cantierizzazione al 28 dicembre 2008, ma ad oggi ancora i lavori non sono in corso. 
“La zona dei Castelli non può sostenere un inceneritore, ha scarse risorse idriche ed è un’area agricola – afferma Vanessa Ranieri, presidente del WWF Lazio – Inoltre bisogna ricordare che l’ inceneritore dovrebbe essere considerato l’ultimo passaggio del ciclo dei rifiuti, dopo che si è tentato di recuperare tutto il recuperabile allora viene preso in considerazione, come ultima soluzione, l’uso di rifiuti come fonte di energia. Questo è previsto anche dalle direttive europee, invece sembra che qui vogliano iniziare subito dall’incenerimento” 
LA MANIFESTAZIONE
Il 23 ottobre scorso i cittadini di Albano e dei comuni limitrofi sono scesi in piazza per una manifestazione organizzata dal coordinamento “No Inc” per fare pressione sul TAR del Lazio che il 27 ottobre si sarebbe dovuto esprimere sui vari ricorsi presentati. “ è ormai appurato che questo progetto non ha seguito logiche normative ordinarie, ma è frutto di ricatti politici”, continua Castri, e i manifestanti si chiedono se sia giusto sopportare un inceneritore per far guadagnare i pochi interessati a scapito della salute di migliaia di persone. Perché non trovare soluzioni alternative, puntare sulla raccolta differenziata, perché non pensare ad una gestione di rifiuti più limpida? Erano presenti al corteo  i comuni di Ariccia, Albano, Genzano, Ciampino, Velletri, Frascati, Monte Porzio, Rocca di Papa, Monte Compatri, Ardea, Pomezia, Castel Gandolfo, Lanuvio e Marino. Hanno sfilato anche bambini e anziani, i più colpiti dall’ incidenza di malattie legate all’ inquinamento dell’aria, in una zona dove già le falde acquifere sono fortemente compromesse e dove gli amministratori di alcuni paesi sono stati costretti a consigliare ai cittadini di non bere l’acqua perché non potabile. Gli stessi sanitari della ASL locale, che da anni studiano l’impatto che potrebbe avere l’inceneritore sulla salute della cittadinanza, hanno dato un parere di totale contrarietà   ribadendo che i Castelli Romani versano in una grave emergenza idrica, le falde acquifere si sono drasticamente abbassate e la potabilità delle acque è pregiudicata da sostanze quali fluoro e arsenico.
“Da 6 anni c’è una deroga sulla quantità del contenuto di tossicità presente nell’acqua della zona –  afferma Daniele Castri – acqua che in altri posti non si potrebbe bere, qui con una deroga è stata fatta diventare potabile. Già la nostra salute è fortemente compromessa, non si può aggiungere anche la costruzione di un inceneritore, che vada a influire sulla qualità dell’aria, che danneggerebbe le coltivazioni ma che soprattutto avrebbe bisogno di 220.000 metri cubi d’acqua annuali. Dal 2008 abbiamo presentato 3 ricorsi al TAR. Confidiamo – ha concluso il responsabile di No Inc – che adesso la Regione Lazio non deluda le aspettative dei cittadini”.

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