Cinque anni dall’arresto di Julian Assange: gli Usa rinuncino a chiedere l’estradizione
L’11 aprile 2019 Julian Assange entrava nel carcere britannico di alta sicurezza di Belmarsh, in attesa dell’esito della richiesta di estradizione presentata dagli Usa.
Assange ha osato portare alla luce rivelazioni su presunti crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti d’America. Per questo, gli sono stati rubati cinque anni di vita, a seguito di accuse politicamente motivate, mosse dagli Usa dopo che egli aveva rivelato le loro presunte malefatte.
Invece di indagare in maniera esaustiva e trasparente sui loro presunti crimini di guerra, gli Usa hanno deciso di prendere di mira Assange per aver pubblicato informazioni che gli erano state fornite, peraltro di interesse pubblico.
Assange rischia un processo ai sensi della Legge sullo spionaggio del 1917, una norma emanata in tempo di guerra mai utilizzata per colpire il legittimo lavoro di giornalisti e pubblicisti. Potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere. Per l’altra accusa, di violazione di un accesso informatico, potrebbe ricevere una pena massima di cinque anni.
Se verrà estradato negli Stati Uniti d’America, Assange rischierà di subire violazioni dei diritti umani come l’isolamento prolungato, che costituisce una violazione del divieto di tortura e di altri maltrattamenti. Le dubbie assicurazioni diplomatiche fornite dagli Usa circa il modo in cui sarebbe trattato non valgono neanche il pezzo di carta su cui sono state scritte, se non altro perché non sono legalmente vincolanti e sono piene di scappatoie.
C’è solo un modo per evitare tutto questo: gli Usa rinuncino a chiedere l’estradizione. Una vaga risposta del presidente Biden a una domanda della stampa o le notizie su un possibile accordo tra il dipartimento della Giustizia e la difesa di Assange per una riduzione dei capi d’accusa, e dunque della condanna, non sono sufficienti.
* Portavoce Amnesty International Italia
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