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Caltanissetta: rapporti tra imprenditori e boss

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Pietro Di Vincenzo, importante imprenditore nisseno, già ai vertici di Confindustria Sicilia, detenuto a seguito di un blitz che lo coinvolse lo scorso giugno, avrebbe avuto stretti rapporti con Angelo Siino, oggi collaboratore di giustizia, tra i protagonisti di cosa nostra siciliana.
Simili contatti erano stati descritti, in passato, da due ex collaboratori del gruppo Di Vincenzo, attivo nel settore delle costruzioni, Gerlando Tuccio e Michele Dell’Utri: contabili assai informati sui movimenti economici del gruppo. Di Vincenzo, secondo le loro ammissioni, avrebbe spesso incontrato Angelo Siino, anche all’interno della sede della “Di Vincenzo s.p.a.”.

L’imprenditore, infatti, avrebbe, nel corso di anni costellati da successi economici legati ad importanti appalti pubblici, stretto un patto con le organizzazioni criminali presenti sul territorio della provincia di Caltanissetta, e non solo, allo scopo di acquisire commesse sicure. Stando alle confessioni di Tuccio e Dell’Utri, a Pietro Di Vincenzo non sarebbero mai mancate le protezioni necessarie ad evitare qualsiasi problema all’interno dei tanti cantieri sparsi sull’isola: al punto da destinare una parte dei ricavi conseguiti proprio a questo scopo. Alle dichiarazioni dei contabili del gruppo si sono aggiunte quelle del collaboratore di giustizia Leonardo Messina, tra i principali componenti di cosa nostra nissena.

Messina, infatti, avrebbe personalmente ritirato il tre percento del complessivo importo dei lavori per la costruzione dell’impianto di raccolta delle acque reflue di San Cataldo, commessa assegnata al gruppo Di Vincenzo.
Secondo il collaboratore, l’imprenditore avrebbe spesso partecipato a riunioni convocate da Angelo Siino allo scopo di approfondire lo stato degli appalti sul territorio nisseno e capire quali lavori potessero essere facilmente controllati. Di Vincenzo, sempre secondo le indicazioni fornite ai magistrati da Leonardo Messina, avrebbe avuto un legame particolareggiato con la famiglia dei corleonesi: per tale ragione, non sarebbe mai stato sottoposto ad estorsioni.

La sua società, infatti, doveva solo limitarsi a versare la quota per la messa in regola in favore del gruppo che controllava il territorio ove i lavori erano in corso: “imposta” che ogni azienda impegnata nell’esecuzione di appalti, pubblici o privati, doveva assicurare.
Un modello, quello che sarebbe stato costruito dall’imprenditore di Caltanissetta, che avrebbe trovato conferma nelle dichiarazioni rilasciate da altri collaboratori di giustizia, tra le quali quelle messe a verbale da diversi ex affiliati alle famiglia di Gela.

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