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Indagine della Corte dei Conti sui beni confiscati

Di Gaetano Liardo il . Atti e documenti

La magistratura contabile torna a fare sentire la sua voce. Stavolta sulla gestione dei beni confiscati alle mafie, con un’indagine relativa ai processi di sequestro, confisca e assegnazione. La relazione, redatta dal dottor Antonello Colosimo fa il punto della situazione del biennio 2008 – 2009, tenendo in considerazione le novità introdotte dall’istituzione dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati. Il percorso per arrivare all’assegnazione di un bene confiscato è definito dalla Corte dei Conti: «lungo e tortuoso». Spesso, infatti, il tempo necessario per concludere l’iter di assegnazione varia dai 7 ai 10 anni. Il 52,6% dei beni confiscati, inoltre, è inutilizzato, sia per le lungaggini procedurali che per la rete fitta, e difficile da dipanare, di prestanomi al servizio dei boss. Al 31 dicembre dello scorso anno la maggior parte dei beni sottratti alla criminalità organizzata (mobili, immobili, ditte, etc) sè presente nel sud Italia, in un numero quattro volte superiore rispetto a quelli presenti nel nord. Tuttavia, sottolinea la Corte, si rivela la tendenza della mafie ad investire soprattutto nelle regioni centro – settentrionali e anche oltreconfine. Rendendo, di fatto, ancora più complicate le indagini sull’accumulazione illecita di ricchezze mafiose immesse nel tessuto economico sano del nostro Paese.

Dalla descrizione fatta dalla magistratura contabile viene confermata la capacità delle mafie di inserirsi nel sistema produttivo.  «Le attività meno redditizie – si legge nella relazione – sono state accantonate nel corso degli anni, preferendo terreni economico – finanziari più fruttuosi, a vantaggio dei mercati immobiliari e delle finanziarie, dei grandi mercati delle borse, degli istituti di credito fino ai locali adibiti alla ristorazione, costituendo così i presupposti per un’organizzazione capillare criminale di tipo “imprenditoriale”». Una massiccia invasione, quindi, su numerosi settori cardine del sistema economico – produttivo italiano. Al sud, così come al nord. Le mafie si insinuano nell’edilizia e nelle grandi operazioni immobiliari. Sono presenti in tutta la filiera del settore agroalimentare stabilendo cosa e a quale prezzo comprare, imponendo le ditte di trasporto e controllando i mercati ortofrutticoli, ad iniziare dal MOF di Fondi. I boss, inoltre, si muovono con agilità nel mondo finanziario, capaci di fare investimenti fruttuosi in grado di ripulire capitali illeciti. Veri e propri broker.

«Il progressivo inserimento nel sistema economico, finanziario e imprenditoriale – prosegue la relazione – fa sì che le organizzazioni delinquenziali arrivino a perdere quei connotati criminogeni che le caratterizzavano originariamente, per divenire un vero e proprio potere economico – finanziario in grado di competere nel sistema produttivo». Imponendo, tuttavia, le proprie regole al mercato. Drogandolo. Sempre più spesso incendi dolosi colpiscono ditte che lavorano per la realizzazione di opere pubbliche. A Sud, così come al Nord. Come, un esempio fra tanti, i numerosi incendi che hanno colpito nel mese di agosto le ditte impegnate per la realizzazione della linea ferroviaria Parma – La Spezia. Oppure i sempre più frequenti casi di amministratori e funzionari pubblici collusi con le mafie, e ben disposti ad intervenire per favorirne gli affari.
«La confisca dei beni – continua la Corte – si è rivelata essere l’unica, finora, efficace “dolorosa” reazione dello Stato all’estensione, sempre più a mò di piovra, delle organizzazioni criminali nell’accumulo di ingenti patrimoni e risorse frutto di proventi illeciti che, tra l’altro, produce anche una pericolosa distorsione nella corretta competizione nel mercato».

Una più efficace gestione dei beni confiscati, siano appartamenti, palazzi, ville, ditte, ma anche risorse liquide, darebbe un maggiore impulso all’opera di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine. Confische di patrimoni come i 70 milioni di euro sequestrati oggi al clan Lo Russo di Napoli, o i 400 milioni sequestrati, sempre oggi, dalla Procura di Catania a politici e mafiosi, celermente utilizzati sarebbero un segnale forte e positivo. Purtroppo lentezze, intoppi burocratici e scarsa volontà politica rendono debole l’aggressione ai capitali dei boss.

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