Vent’anni dopo l’omicidio Vecchio
Acireale, provincia di Catania, Sicilia orientale. Sono trascorsi venti lunghissimi anni dall’assassinio di Francesco Vecchio, siciliano, ucciso nella provincia etnea il 31 ottobre del 1990, a 52 anni. Domenica scorsa una messa celebrata da Don Luigi Ciotti lo ha ricordato in una messa privata, con i familiari, gli amici e i giovani di Libera, proprio ad Acireale. Vecchio, è stato il Direttore Generale della ICM Leonardi, una delle più importanti realtà economiche ed industriali della Sicilia orientale. Poi successivamente, il direttore del personale dell’Acciaieria Megara, altra importante industria catanese che contava oltre 300 dipendenti, e un centinaio di lavoratori tra le aziende dell’indotto.
Un uomo onesto e riservato
Sul finire degli anni ’80 l’Acciaieria aveva avviato un processo di
ammodernamento tecnologico e successivamente era ricorsa alle
prestazioni di alcune società esterne, che utilizzavano proprio
personale. Vecchio si occupò dei controlli sui lavoratori e sulle
attività aziendali, anche dell’indotto. Lo fece con rigore, attenzione
e professionalità. Poco dopo iniziarono le minacce telefoniche e le intimidazioni. Il 31 ottobre Francesco Vecchio viene assassinato a Catania insieme all’amministratore delegato della Megara, Alessandro Rovetta, poco lontano dall’uscita dell’azienda mentre a bordo della sua auto tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Le indagini sul suo omicidio seguono il possibile interessamento della mafia al finanziamento regionale che la ditta aveva ricevuto per l’ammodernamento, circa 60miliardi di lire e al possibile controllo dell’azienda stessa.
Omicidio vecchio, inchiesta dimenticata
L’inchiesta rimane ferma. «Nel 2007 il fascicolo con le indagini sull’omicidio di mio padre – dichiara oggi, il figlio Salvatore – era stato archiviato. Nel 2008 le indagini sono ripartite, ma senza alcun risultato. Quello che ho capito in questi anni è stato che la procura di Catania ha dovuto, evidentemente, “occuparsi di altro”». Una amara constatazione arriva da Salvatore Vecchio che ha visto in questi anni un panorama investigativo stagnante, spesso accompagnato da un generale clima di indifferenza, di rassegnazione, presente nella città. «Francesco Vecchio era sempre stato molto riservato e a casa non parlava quasi mai del suo lavoro. In famiglia era colui che risolveva i problemi badando a non trasmettere mai le sue preoccupazioni – ricorda il figlio – era un marito ed un padre buono, attento ed affettuoso; tentava di limitare il più possibile le ansie dei suoi cari, i loro timori, non manifestando preoccupazione per le telefonate e le minacce che giungevano a casa». (clicca qui per leggere l’articolo: Francesco Vecchio, un uomo semplice e giusto). Vent’anni dopo l’omicidio Vecchio rimane tra i pochi omicidi di mafia dell’ultimo ventennio catanese ad essere ancora impunito. Un fatto piuttosto singolare. Gli amici e i familiari lo ricordano come «un uomo semplice e giusto, in grado di amare, di credere, di lottare per ciò che riteneva giusto fino al punto di morire per difendere delle idee».
Trackback dal tuo sito.