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Castellammare di Stabia: se la Pace e la Nonviolenza chiudono i battenti

Di Aldo Cimmino il . Campania

La Casa della Pace e della Nonviolenza rischia la chiusura. L’associazione, che da anni si batte sul territorio di Castellammare di Stabia a favore della popolazione immigrata, non ha più risorse sufficienti per la realizzazione delle sue attività. A denunciarlo è lo stesso presidente dell’ “Asharam Santa Caterina”, Maurizio Somma. L’impegno della casa-alloggio ha inoltre un valore aggiunto straordinario in quanto concretizza quella fondamentale realtà del riutilizzo sociale dei beni confiscati alla camorra. Sede infatti della Casa della Pace e della Nonviolenza (CPN) è proprio un bene sequestrato e confiscato al clan D’Alessandro, egemone sul territorio stabiese.

La palazzina sottratta al clan, che si erge sulle strette strade del quartiere di “Santa Caterina”, è oggi centro di inclusione sociale e vera e propria fucina di legalità. Probabilmente ancora per poco. Si perché da quando la CPN ha ottenuto, con bando pubblico il bene in questione, tutti i lavori necessari a rendere i locali funzionali alle attività programmate, sono stati pagati con i soldi personali dei volontari e del presidente dell’ “Asharam”. Un impegno economico, era facile prevederlo, che non si sarebbe potuto protrarre per sempre. Sarebbe stato necessario, tanto per fare un esempio, che il Comune di Castellammare di Stabia si attivasse per attrarre finanziamenti europei di pronta utilizzazione per ripristinare beni confiscati fatiscenti.

Piuttosto che sentirsi chiedere dall’attuale amministrazione comunale, guidata da Luigi Bobbio, eletto nel 2001 al Senato per Alleanza Nazionale, chi fossero questi giovani e a quale titolo occupassero il bene in questione. Segni tutt’altro che rincuoranti.  Oltretutto il bene è stato assegnato alla CPN nello stesso stato in cui venne confiscato e cioè senza neanche gli infissi interni che erano stati sottratti dagli stessi uomini del clan D’Alessandro. Lavori quindi che si rendevano assolutamente necessari. Specialmente in considerazione delle finalità di riutilizzo proposte, consistenti nella messa in funzione di una casa di prima accoglienza per il temporaneo soggiorno della popolazione immigrata. E nonostante la rilevanza di tali opere, nel contratto di comodato d’uso gratuito, con il quale il Consorzio “Sviluppo Occupazione Legalità Economica” – Cammini di Legalità (S.O.L.E), ha concesso alla CPN il bene, si legge esplicitamente che l’associazione non avrà alcun rimborso per aver sostenuto spese ordinarie o straordinarie finalizzate all’utilizzo o alla conservazione del bene. Che il Consorzio S.O.L.E., che riunisce circa venti comuni della Provincia di Napoli, non deve corrispondere alcun compenso o indennità per le migliorie approntate al bene.

Insomma tutto a spese proprie. Tutto questo mette in luce quanto meno alcuni profili assai critici che riguardano la gestione di un bene confiscato. Se da più voci è stata sottolineata l’importanza di una pronta ed efficace riutilizzazione di beni sottratti alla criminalità organizzata, come segno forte e deciso della presenza dello Stato sociale, oltre che dello Stato repressivo e giudiziario, ancor di più questo allarme si fa pressante rispetto ad una realtà che per anni ha dato risultati e che da un giorno all’altro rischia di essere annullata. Con un pauroso ripristino dello “status quo ante” che certamente non giova al territorio ne alla lotta alle mafie. Parla chiaro, infatti, il curriculum dell’associazione. Da anni la CPN è impegnata sul territorio a favore dei temi della pace e dell’inserimento delle marginalità nel tessuto sociale stabiese, che sono alla base di una perfetta antimafia sociale.

Ed è sorprendente pensare come nelle stanze di quella palazzina di Via Santa Caterina, 77, dove un tempo si spacciava droga, si sfruttava la prostituzione, si decidevano gli omicidi e le spartizioni del territorio, oggi si accolgono immigrati che hanno come punto di riferimento propri la CPN, la realtà migliore sul territorio di pronta ospitalità per persone prive di dimora. E non si tratta di semplice senso di solidarietà. Ma la funzione sociale è altissima specialmente se si tiene conto che il fenomeno dell’immigrazione, in un contesto territoriale come quello di Castellammare di Stabia, è per lo più sommerso e rischia di essere intercettato proprio dai circuiti camorristici. In quella stessa palazzina poi si incontrano giovani dei campi estivi di Volontariato organizzati dall’associazione Libera, ma anche magistrati e familiari delle vittime innocenti di criminalità. Cancellare tutto questo significa eliminare la quotidiana trasformazione di un quartiere degradato sulle cui strade strette non si erge più “un segno di potere ma il potere del segno”, quello dell’antimafia e della cultura della legalità. 

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