“Ecco come la Russia è diventata Putinstan, uno stato canaglia”
Per gentile concessione dell’autore e di Chiarelettere Editore, pubblichiamo un abstract dal nuovo libro di Giorgio Fornoni intitolato “PUTINSTAN. Come la Russia è diventata uno stato canaglia”, uscito pochi giorni fa e frutto del lavoro suol campo negli ultimi decenni di un reporter che ha raccontato le guerre che hanno afflitto il pianeta e non ha risparmiato severe critiche al regime del potere in Russia.
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I missili su Kiev, la capitale spirituale dell’ex impero sovietico, i palazzi in fiamme e l’esodo dei civili ucraini sul guado di un fiume gelato, sotto il ponte crollato di Irpin. E poi i morti abbandonati sul ciglio delle strade, le colonne di carri armati russi nella neve, la disperazione delle donne e gli eroi di una nuova resistenza armata decisa a non arrendersi all’aggressione.
Sono le immagini che dal 24 febbraio 2022 irrompono nelle nostre case, turbando anche le nostre vite e le nostre coscienze. Immagini e storie che rievocano le pagine più buie della storia d’Europa e che stanno sconvolgendo la politica e l’economia del mondo intero.
La Russia di Putin, autoproclamatosi nuovo zar di quello che sembrava il sepolto impero rosso d’Oriente, ha mostrato il suo volto più brutale. Le speranze di una convivenza pacifica con l’Occidente, dopo decenni di Guerra fredda ma di sostanziale stabilità, sono naufragate di colpo, sorprendendo anche molti cosiddetti esperti di analisi internazionale.
È in atto uno scontro frontale di civiltà e di culture, si è detto, la democrazia occidentale contro una diversa visione del mondo. Ma l’unica soluzione possibile viene affidata oggi alle armi sempre più sofisticate e a un conflitto che è diventato ormai una guerra aperta tra i due antichi contendenti del potere mondiale. Gli Stati Uniti e la Russia sono di nuovo nemici in una contrapposizione frontale. In mezzo, otto milioni di profughi ucraini, un intero paese devastato, lo spettro di un’apocalisse nucleare tornato ad aleggiare sul nostro futuro, più vivo e presente che negli anni Sessanta del secolo scorso.
Come reporter televisivo, mi sono sempre impegnato a raccontare la sofferenza dell’uomo, i diritti negati, i disastri ambientali che si stanno verificando su scala planetaria. L’Unione Sovietica, fino ai primi anni Novanta, era un territorio sconosciuto e nascosto, quasi inaccessibile a chi volesse indagarlo con la libertà di un giornalista indipendente.
Con la caduta del muro di Berlino sono cominciati i giochi interni di potere, ma si sono anche aperti i primi varchi per poter viaggiare in quel territorio vastissimo, più grande dell’intera Europa.
È questo che mi ha permesso, già nell’anno 2000, di affrontare la mia più grande inchiesta oltre l’ex cortina. Un muro non più di ferro, ma ancora di disinformazione e di buio, su quello che restava di settant’anni di socialismo sovietico.
Cominciavo allora a lavorare per Report e l’idea nacque durante uno dei primi incontri con Milena Gabanelli, che lo aveva creato. In Italia c’era stato, nel 1987, due anni prima della caduta del muro, il referendum sulla messa al bando delle centrali nucleari e si poneva il problema di dove stoccare le scorie radioattive. Perché non andare a vedere come veniva affrontato il problema nel paese che aveva la maggior esperienza di tutti?
La nuova Russia di El’cin si era appena offerta di accettare i rifiuti radioattivi di mezza Europa da smaltire sul proprio territorio, candidandosi a diventare quella che avevamo chiamato, in redazione, la «pattumiera nucleare del mondo». Eccomi dunque a Musljumovo, negli Urali, armato di un contatore Geiger «fai da te» e di una buona dose di incoscienza, a denunciare i danni irreversibili dello sversamento delle scorie nucleari nel fiume Teca dagli anni Cinquanta a oggi. Poi a Murmansk, nel Mare di Barents, dove erano in corso lo smantellamento dei primi sommergibili nucleari e la raccolta delle loro testate atomiche. Anche lì, immagini di devastazione, un degrado ambientale pauroso e l’angoscia di un pericolo mortale.
È da quella prima inchiesta che partì il mio lungo viaggio (anzi, una lunga serie di viaggi), durato fino a oggi. Una ricerca del passato e del presente del mondo ex sovietico che mi ha portato a indagare tra gli orrori e le testimonianze dei gulag siberiani, tra le rovine di Groznyj e i campi profughi della Cecenia, i depositi di armi chimiche e biologiche – che si sarebbero dovuti distruggere – delle città segrete sugli Urali e in Siberia, le mille vie del gas che alimentano il potere sotterraneo della nuova Russia. Viaggi costellati di tante scoperte, tante delusioni, tanti incontri emozionanti, tanti niet apparentemente definitivi, che diventavano per me una sfida da superare.
Rileggendo gli appunti e i diari, mi accorgo ora di un filo rosso che unisce tutti quei personaggi e quelle storie e che forse aiuta a comprendere meglio anche quello che sta succedendo oggi.
Difficile capire i missili sulle città ucraine senza essere stati tra le macerie di Groznyj nel 2000, senza aver vissuto la gioia dei giovani nella rivolta arancione in piazza Maidan nel 2014, senza aver conosciuto l’onestà intellettuale e l’integrità di una donna coraggiosa come Anna Politkovskaja, che ho incontrato varie volte nella redazione della «Novaja Gazeta».
E senza aver vissuto settimane di avventure, emozioni e drammi, dalla Georgia all’Ossezia del Sud e le valli del Caucaso, accompagnati da un uomo straordinario che ben conosceva quel mondo, il mio amico Andrej Mironov. È anche a lui, vittima nel maggio del 2014 di uno scontro a fuoco tra ucraini e filorussi sul fronte di Sloviansk e delle mille contraddizioni dell’ex Unione Sovietica, che voglio dedicare questo libro, dopo oltre vent’anni di viaggi e di inchieste in quel mondo.
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Abstract: Giorgio Fornoni, “PUTINSTAN. Come la Russia è diventata uno stato canaglia”, Chiarelettere Editore, Milano 2024
L’autore
Giorgio Fornoni è un giornalista e un inviato. Attraverso le sue numerose inchieste in tutto il mondo ha documentato alcune delle più grandi emergenze dei nostri giorni, dalla lavorazione della coca in Perù al traffico di oro nell’ex Zaire, dall’evacuazione della Liberia a quella dell’Angola. Dal 1999 collabora con la trasmissione televisiva Report.
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