Operazione “Crimen Silenti”
Gli investigatori delle provincie di Enna e Caltanissetta, supportati dalle informazioni ricevute da alcuni collaboratori di giustizia, hanno individuato i presunti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Mililli, avvenuto a Niscemi il 10 febbraio del 1998.
Gesulado La Rocca, Salvatore Siciliano, Francesco Ghianda, Carmelo Massimo Billizzi e Sebastiano Montalto, sarebbero stati, con ruoli diversi, menti e braccia dell’agguato.
Secondo la ricostruzione fornita dalla Dda di Catania, che ha coordinato le indagini, supportata dalle Squadre Mobili di Enna e Caltanissetta, l’eliminazione di Mililli sarebbe sorta entro una più ampia faida instauratasi tra i componenti di cosa nostra di Aidone e Piazza Armerina, città della provincia ennese.
Al centro della vicenda, presunti interessi economici: il controllo del mercato del calcestruzzo nell’area di Enna, conteso da due gruppi, quello che faceva capo a Giovanni Mattiolo e la fazione vicina, invece, a Calogero La Placa.
Mentre il primo iniziava ad imporsi, anche attraverso l’acquisto di un importante impianto di inerti, la seconda, nonostante la vicinanza al boss Giuseppe Madonia, doveva cedere il passo.
Giuseppe Mililli, prima di sparire nel nulla, era ritenuto un importante tassello della cosca di Giovanni Mattiolo, in grado di riscuotere quote estorsive agli imprenditori dell’area, scavalcando le direttive del gruppo Madonia.
Un soggetto che avrebbe dato fastidio a capi del calibro dello stesso Madonia e a quelli della zona del catanese.
A commissionare l’omicidio, stando agli investigatori, sarebbe stato Gesualdo La Rocca, all’azione, invece, avrebbero pensato Salvatore Siciliano e Francesco Ghianda di Mazzarino, Carmelo Massimo Bilizzi di Gela e Sebastiano Montalto di Niscemi, appoggiati dagli altri gelesi Daniele Emmanuello e Fortunato Ferracane e dal niscemese Antonino Pitrolo.
Le ammissioni alla base delle indagini sarebbero pervenute direttamente da Fortunato Ferracane, Antonino Pitrolo e Giuliano Chiavetta, killers e affiliati alle cosche di Gela e Niscemi.
Non a caso, l’agguato sarebbe scattato nel territorio niscemese ed il cadavere, mai ritrovato, sciolto all’interno di un fusto colmo di nafta.
L’unione tra le famiglie ennesi, gelesi e niscemesi, avrebbe, quindi, stroncato sul nascere la disobbedienza del gruppo Mattiolo.
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