Omicidio di Jan Kuciak e Martina Kusnirova: come non pensare anche a Julian Assange
Mentre scrivo per commemorare due giovani assassinati nel cuore dell’Europa, non so cosa deciderà l’Alta Corte britannica su Julian Assange. I due giovani europei di origine slovacca si chiamavano Jan Kuciak e Martina Kusnirova, ammazzati a sangue freddo da un professionista assoldato da chi ha voluto tappare per sempre la bocca ad un giornalista libero e quindi pericoloso.
La sera del 21 febbraio 2018 Jan era a casa con la sua compagna, coetanea, Martina: il killer uccise prima lei con un colpo in testa e poi lui, sopraggiunto, con un colpo al cuore. Scriveva Jan, scavando nelle relazioni dei potenti della Slovacchia (cosa altro dovrebbe fare un buon giornalista?), mettendo sempre più a fuoco interessi e complicità che portavano fino alla criminalità organizzata di stampo mafioso prosperante nel suo Paese. Studiava Jan per comprendere la portata di quelle relazioni e infatti sulla sua scrivania venne ritrovato un libro indicativo: ‘ndrangheta di Francesco Forgione, che era stato presidente della Commissione parlamentare antimafia tra il 2006 e il 2008. Sullo sfondo di quelle relazioni i fondi strutturali dell’Unione europea.
Che cosa può spingere un ragazzo di poco più di vent’anni a mettere a repentaglio la propria vita per raccontare fatti del genere? Vorrei che a rispondere a questa domanda fossero i giovani giornalisti che ovunque nel mondo continuano a fare scelte del genere. Io posso soltanto dire che in questa scelta ritrovo il fondamento della democrazia, dove l’esercizio necessario del potere deve trovare un limite invalicabile nel rispetto della libertà delle persone, perché un potere esercitato senza limite diventa fatalmente abuso. Ma non c’è limite che tenga senza regole e senza un lavoro costante e intransigente di verifica e controllo.
Cosa c’è di più antidemocratico che mortificare la libertà di stampa e comprimere l’indipendenza e l’efficacia della magistratura, che sono i due fondamentali agenti di sindacato sul potere? Come si vive in una società nella quale viene perseguitato chi denuncia gli abusi del potere e non chi quegli abusi li ha perpetrati? Si vive in una condizione di libertà apparente, vigilata, limitata, dipendente dalla volontà del potente di turno che, se minacciato, può annichilirla.
Tornano in mente le parole di Primo Levi in Se questo è un uomo: “morire per un sì o per un no”, che sono la rappresentazione sintetica e senza tempo del dispotismo, autoritario e violento, insofferente alle regole, qualunque fondamento possano avere. Il crinale che separa il dispotismo elevato a sistema da un sistema venato di dispotismo è un crinale scivoloso, a volte ambiguo, perché l’esercizio del potere porta sempre con sé la tentazione dell’abuso: ecco perché la democrazia è democrazia se e fintanto che legittima e protegge costantemente il diritto a verificare, controllare, raccontare, denunciare, dissentire, liberarsi… da un uomo violento, da una famiglia mafiosa, da uno Stato prevaricante.
Così mentre ci indigniamo giustamente per l’assassinio di Navalny in Russia, per quello di Regeni in Egitto, per quello delle donne in Iran o per i dissidenti incarcerati in Turchia, faremmo bene ad opporci ad ogni rigurgito di dispotismo in “casa nostra”, difendendo ad ogni costo un certo modo di stare al mondo, fondato su una idea: gli umani nascono tutti liberi e uguali. Rigurgiti di dispotismo sono far morire in carcere Julian Assange, praticare sequestri di persona o “neutralizzazioni” di presunti terroristi a scopo preventivo, pianificare la deportazione di massa degli immigrati come ha fatto l’estrema destra tedesca…
Ma anche non difendere i giornalisti dalle querele intimidatorie, limitare per legge la pubblicazione di atti giudiziari, criminalizzare il dissenso e specificamente la disubbidienza passiva in carcere, limitare la rilevanza penale dell’abuso di potere abolendo l’abuso d’ufficio, abolendo il reato di tortura, comprimendo la possibilità di investigare adoperando le intercettazioni, subordinando la magistratura inquirente al potere esecutivo attraverso la separazione delle carriere.
Ma sono rigurgiti di dispotismo anche quelle scelte in materia economica che espongono i più vulnerabili agli appetiti di “padroni” senza scrupoli, come la liberalizzazione dei subappalti o il disinvestimento sulla formazione, sulla prevenzione e sui controlli nei luoghi di lavoro.
Nel nome di Jan Kuciak, di Daphne Caruana Galizia, di Peter de Vries, di Giulio Regeni, di Julien Assange, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (il 20 marzo saranno trent’anni), di Andy Rocchelli, di Mario Paciolla, di Vittorio Arrigoni e di tutti coloro che hanno pagato con la vita il coraggio di rovinare la festa al potere che abusa, dovrebbe trovare slancio una grande alleanza “insorgente” per fare dell’Unione Europea un baluardo sicuro della libertà, trasformando il prossimo Parlamento in una assemblea costituente. Così che magari si trovi pure la forza per dire “no!” a quella estrema, terribile forma di dispotismo che è la guerra, che andrebbe ripudiata e non normalizzata.
Firma anche tu la petizione di IoScelgo per chiedere la liberazione di Julian Assange
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