La maglietta di Maignan. Tutti la vogliono: allora il calcio non ha ancora perso l’anima
“La vogliono tutti”. Il proprietario del negozio che vende soltanto articoli di calcio rinnovando ogni mese magliette, felpe, tute, scarpe, guanti da portiere e ovviamente palloni, approva la scelta che ho fatto per il mio nipotino di 5 anni. Una maglietta da portiere color grigio e verde tenue, a motivi orizzontali. Che sa di eleganza nel chiassoso panorama cromatico degli stadi.
È stato calciatore dilettante di buon livello, il mio interlocutore. Prende la maglietta, la solleva, la ripiega con cura, e mi dice: “Però questa volta non ci mettiamo il nome di suo nipote, ci stampiamo il nome vero”. “Vedrà che gli farà più piacere”, aggiunge. “Maignan”. Ecco il nome che finirà sulle spalle del bambino.
Il negozio è un sensibilissimo termometro dei sentimenti popolari. Diciamo di quelli che serpeggiano o dilagano tra i giovanissimi e giovani tifosi e i loro papà, dei sentimenti che accompagnano vittorie e trionfi delle squadre (“tranne il Napoli l’anno scorso, le magliette erano introvabili, avevano fatto un accordo esclusivo con una distribuzione che saltava i negozi”, spiega perplesso).
Come probabilmente i lettori del “Fatto” sanno, Mike Maignan è il portiere del Milan che dopo gli Europei del 2021 ha sostituito, superandolo, Gigio Donnarumma, volato per soldi a (non) miracol mostrare al Paris Saint Germain.
Negli scorsi giorni Maignan è stato protagonista di una decisione orgogliosa e coraggiosa finita sulle prime pagine dei giornali. Ha lasciato il campo a Udine durante la partita portandosi dietro per solidarietà tutto il Milan, per protesta contro i fischi e gli insulti che accompagnavano ossessivamente i suoi interventi. In quanto “negro”.
Probabilmente tutto sarebbe stato risolto con le avvilenti parole di circostanza (“non sono veri tifosi”, “non ha nulla a che vedere con il calcio”, “non mescoliamo un pugno di cretini con il generoso pubblico veneto”) se Maignan, oltre a uscire dal campo da “hombre vertical”, non avesse puntato il dito contro le responsabilità dei presidenti e dei dirigenti delle squadre e anche, per la prima volta, contro le procure che lasciano correre considerando il razzismo e l’istigazione all’odio razziale come un elemento del paesaggio. Loro come quasi tutti.
Stavolta davanti alle minacce del codice forse qualcosa si muoverà davvero. Perché sarà un problema di educazione e di cultura ma a volte anche le punizioni educano. Fatto sta che, come dice il commerciante, ora la maglietta di Maignan la vogliono tutti, come quella di Messi dopo i mondiali di Argentina, che celebrarono un regista grandioso e a suo modo umile.
Ecco la morale: Maignan applaudito come un campione del mondo. Questo mi dice il mio compagno di riflessioni poco accademiche. Che subito aggiunge. “Ma guardi che questo è un mercato che registra tutto, ogni emozione popolare. Ma lo sa quante magliette del Cagliari mi chiedono con su scritto “Riva”?
Non lo sapevo ma è bello saperlo. Bello vedere quanti giornalisti non sportivi abbiano voluto negli scorsi giorni scrivere con emozione del grande campione della nazionale. Riscoprire che il calcio è davvero un sogno, che gli interessi e la volgarità d’animo possono infrangere ma che -come disse un giorno Jorge Luis Borges- ricomincia ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada.
Chissà perché non si vuole capire quale formidabile patrimonio culturale sia possibile amministrare a vantaggio di tutti, per piegarsi agli obiettivi di un po’ di miserabili, ricchi sfondati o emarginati che siano.
Anche perciò è nato in rete (ah, la rete! serve anche a questo…) un sito commovente. Si chiama “Calcio-ultimi romantici”. Pubblica foto d’epoca e comunque speciali, che restituiscono l’alone di leggenda al pallone e alla sua grandiosa storia sociale. Lo consiglio vivamente, fa bene al morale.
Per sentirsi dalla parte di Gigi Riva. Per sentirsi dalla parte di Maignan.
Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 29/01/2024
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