CPR e i buchi neri nell’informazione
È mercoledì sera quando arriva una comunicazione allarmata e allarmante dal Centro per i rimpatri di Milo, in provincia di Trapani dove pare stia succedendo il finimondo . Poche scarne notizie che si susseguono e che di ora in ora diventano sempre più preoccupanti. Si parla di cariche della polizia con idranti e di feriti per terra.
Cosa abbia scatenato la scintilla lo possiamo immaginare: le proteste in questi centri, avvengono sempre per gli stessi motivi: lunga permanenza, sensazione di ingiusta detenzione per chi non ha alcun reato, trattamenti disumani.
Avere notizie dettagliate sui fatti da subito appare difficilissimo. Per chi lavora con le immagini, una missione quasi impossibile. L’unico video disponibile viene pubblicato dal Giornale di Sicilia on line il giorno dopo: pochi secondi girati quando ormai é tutto finito e si vedono idranti in azione per spegnere un fuoco.
Dopo il sollecito da parte di alcuni giornalisti e parlamentari ad avere informazioni sulla situazione nel CPR di Milo, la versione ufficiale viene battuta da poche agenzie di stampa.
A scatenare la protesta, 29 ordini di espulsione, per altrettanti tunisini che infuriati avrebbero incendiato i materassi distruggendo gran parte della struttura. I 145 “ospiti” vengono spostati in un piccolo padiglione con solo 20 posti letto. Da lì la protesta si sarebbe tramutata in rivolta, poi in qualche modo sedata senza feriti. Cosa sia realmente accaduto tra l’inizio della protesta e la rivolta, come sia stata “sedata”, rimane un buco nero di cui sappiamo molto poco e che potrebbe essere chiarito solo da chi era presente rischiando come sempre in prima persona: gli operatori della società gestore, i poliziotti, i finanzieri, i carabinieri, gli stessi migranti che magari in quella rissa non c’entravano nulla ma ci si sono trovati in mezzo. Nessuna di queste voci però si espone. Gli operatori rischiano il licenziamento, chi porta una divisa non é autorizzato.
I CPR stanno sempre più diventando centri di trattenimento dove inserire chi ipoteticamente (non sempre effettivamente) non ha il diritto di restare nel nostro Paese. Un modello che si vuole esportare in Albania mentre in Italia ha già più esempi di fallimento: quello di Torino è chiuso, quello di Milano sotto sequestro, quello in provincia di Potenza sotto indagine.
Fondamentali le denunce e le inchieste giornalistiche su come venivano gestiti quei centri.
A noi giornalisti resta il compito sempre più gravoso di trovare i dettagli di quella notizia. Perché dare la notizia rimane ancora per chi fa informazione un dovere e un diritto.
E allora non ci resta che provare in un modo o nell’altro a ricomporre i fili di una matassa che di giorno in giorno si ingarbuglia e ci confonde. Non dare e non far dare notizie su un determinato argomento sembra diventata la soluzione più facile per aggirare le risposte. Eppure è dimostrato che mettere una benda davanti agli occhi di chi deve guardare e un bavaglio davanti la bocca di chi deve parlare non cancella la storia.
Su cosa erano, sono e saranno i Centri per i Rimpatri abbiamo il dovere di chiedere con forza di avere informazioni, video, possibilità di ingresso per verificarne le condizioni.
Perché un giorno non si dica che la prossima rivolta non l’avevamo prevista.
* Inviata Rainews24
Fonte: Articolo 21
Trackback dal tuo sito.