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Lotta alla mafia, le amnesie della Lega

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

“Noi li onoriamo così”: questo è lo slogan accattivante sotto la foto dei giudici Falcone e Borsellino che in questi giorni ha fatto la sua comparsa sui muri di alcuni comuni della Lombardia. A corredo di foto e slogan, vengono riportati i numeri degli arresti quotidiani di esponenti mafiosi, delle catture dei latitanti più pericolosi e del valore dei beni sequestrati alle cosche. La chiosa è altrettanto lapidaria dell’incipit: “Grazie Maroni, Grazie Lega”. Di chi è la firma sotto questo messaggio pubblico? Della Lega Nord ovviamente che – si legge sempre sul manifesto in questione – “combatte la mafia”. Insomma, verrebbe da dire, che se la cantano e se la suonano. Ora, ci sarebbe molto da ridire circa il dubbio gusto di appropriarsi di figure simbolo della memoria condivisa degli italiani, per operazioni di mera propaganda partitica, ma ognuno ha il suo stile. Ci sarebbe anche molto da sorridere – e ne siamo certi ne avrebbero sorriso anche Falcone e Borsellino in vita – sul fatto che la forza politica che fonda la propria originalità sulla presunta Padania debba ricorrere a due “terroni” per certificare il proprio impegno antimafia. A noi però interessa piuttosto porre in evidenza alcuni elementi di contraddizione nel ragionamento dei dirigenti della Lega Nord e, conseguentemente, nei messaggi che vengono lanciati alla loro base elettorale e all’opinione pubblica in genere.

Innanzitutto, occorre ricordare che gli arresti dei mafiosi e dei latitanti sono la testimonianza di un costante impegno e di una accresciuta professionalità delle forze dell’ordine e della magistratura che, proprio in nome di Falcone e Borsellino, hanno saputo migliorare la capacità di repressione dello Stato. Non è certo il ministro che cattura i latitanti, con buona pace di Maroni. Quello stesso Maroni che – questo sì un risultato eccezionale da ascrivere completamente a suo merito – è stato il ministro che è riuscito a mettere d’accordo tutte le sigle sindacali delle forze dell’ordine, tradizionalmente ostili una nei riguardi dell’altra, nelle forti critiche per i tagli operati al budget del Ministero dell’Interno. Da un lato si magnifica l’attività di contrasto alle cosche e dall’altro si permette che vengano sottratte risorse destinandole ad operazioni di immagine, poi destinate ampiamente ad un silenzioso naufragio, come il poliziotto di quartiere e le ronde dei privati in nome della sicurezza. Quanto ai beni sottratti alle cosche, intanto occorre distinguere tra quanto viene sequestrato e quanto viene realmente confiscato, perché molte delle ricchezze tolte ai boss si perdono per strada,  loro essenziali risorse. Parimenti è altrettanto scorretto inserire nel computo i valori storici di sequestri e confische come se tutto fosse stato realizzato soltanto dal governo in carica. Le contraddizioni sul tema da parte della Lega Nord non finiscono però qui.

In queste ultime settimane, un passaggio decisamente cruciale per l’intero scenario politico è stata la votazione della Camera dei Deputati sull’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni che riguardano l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, sul quale gravano da tempo forti sospetti di collusione con ambienti camorristici, tanto da costringerlo alle dimissioni dall’incarico di governo. Sicuramente un banco di prova importante, vista l’asserita volontà della Lega Nord di fare piazza pulita con le organizzazioni mafiose e i rapporti con la politica e le istituzioni. Con questo non vogliamo certo anticipare l’eventuale giudizio di una corte, anche perché per Cosentino, come per qualsiasi cittadino, vale la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. È chiaro però che la delicatezza delle questioni in ballo, la vischiosità delle relazioni che emergono dalle intercettazioni, avrebbero quanto meno imposto un atteggiamento più tranchant da parte di quella forza politica che continua, come abbiamo visto, a magnificare l’operato del ministro dell’Interno, suo dirigente di primo piano. Ricordiamo inoltre che l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni non avrebbe limitato le guarentigie previste dalla Costituzione per il deputato, contro il cui arresto il Parlamento si era già espresso a dicembre dello scorso anno. E invece il partito di Bossi e Maroni ha prima accettato lo scrutinio segreto, voluto soprattutto dal PdL per proteggere le eventuali defezioni al voto favorevole all’utilizzo delle intercettazioni, deciso da parte dal neo costituito gruppo dei “finiani” e poi ha votato contro l’autorizzazione con motivazioni alquanto criticabili.

A nome della Lega Nord è intervenuto Luca Rodolfo Paolini cha ha lamentato la violazione del divieto di intercettare un deputato, in assenza dell’autorizzazione della Camera e poi ha ricordato gli “ampi dubbi sulla configurabilità stessa del reato di concorso esterno in associazione mafiosa”. Poiché nel caso specifico, si tratta di intercettazioni indirette, il deputato ha voluto anche precisare: “qui c’è un deputato che è stato intercettato, seppure indirettamente – anche se sappiamo tutti che questa spesso è solo la «foglia di fico» per coprire un vero e proprio abuso delle prerogative dell’organo inquirente – per anni, senza che dagli atti, che ho qui in mano, emergesse la prova certa, o comunque molto probabile, di un suo coinvolgimento. Parliamo spesso, infatti, di informazioni giunte de relato, di voci, di illazioni”. Quindi un attacco diretto all’opera della magistratura, che prefigura una valutazione nel merito delle vicende processuali riguardanti l’ex sottosegretario non ammissibile, vista la divisione dei poteri prevista dalla Costituzione. Uno strappo alle regole per una forza politica che rivendica una assoluta intransigenza nel contrasto alle mafie.

Comunque lo si voglia giudicare il voto contrario della Lega Nord all’utilizzo delle intercettazioni nel caso Cosentino sembra proprio un brutto scivolone. L’ennesimo atto dovuto nei confronti dell’alleato Berlusconi ma anche uno schiaffo alla ragione. Come si conciliano, infatti, l’orgoglio rivendicato con il manifesto con Falcone e Borsellino e la scelta discutibile di impedire il possibile accertamento della verità nella vicenda in oggetto, che vede un importante uomo politico campano essere accusato di essere il referente del potente clan dei “casalesi”? E a proposito di “casalesi”, alquanto ambigua e di cattivo gusto è sembrata anche la polemica con Saviano che quest’estate, a fronte degli arresti disposti congiuntamente dalle DDA di Milano e Reggio Calabria, si era chiesto dove fosse la Lega Nord quando avveniva la colonizzazione della Lombardia ad opera della ‘ndrangheta. Prima una piccata replica dell’ex guardasigilli Castelli: “Saviano è accecato e reso sordo dal suo inopinato successo e dai soldi che gli sono arrivati in giovane età. Unica sua scusante rispetto alle sciocchezze che dice sulla Lega è che, quando noi combattevamo contro la sciagurata legge del confino obbligatorio che tanti guai ha portato al nord, aveva ancora i calzoni corti”. Poi, a freddo, ha rincarato “La Padania” arrivando a scomodare Giancarlo Siani, definito un “vero eroe anticamorra” a fronte di Saviano autore semplicemente di una “denuncia bibliografica”: “Saviano ha scritto nel 2006 in un periodo in cui la camorra è già cambiata nella sua violenza, dove si ci sono le guerre per bande ma che è circoscritta in alcune ben delimitate zone del napoletano a differenza di ciò che scriveva Siani, ben 25 anni fa, nella più buia e feroce lotta tra clan che aveva nella Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo il nemico da battere”. Nell’articolo dell’house organ leghista il giusto elogio per Siani diventa lo strumento per offendere lo scrittore di “Gomorra”. Lascia interdetti la lucida premeditazione con la quale si sono fatte trascorrere alcune settimane dalla denuncia di
Saviano sulle responsabilità della Lega per l’avanzata delle cosche al nord, quantomeno in termini di omissioni e mancata comprensione, per arrivare a colpire lo scrittore proprio nel giorno meno indicato, quello del ricordo del coraggioso Siani.

 Un brutto segnale, come quello dato a suo tempo dal sindaco leghista di Ponteranica che tolse il nome di Peppino Impastato dalla biblioteca a lui dedicata, perché non era un illustre defunto locale. Segnali di sottovalutazione, ma anche segnali di arroganza. Forse è velleitario chiedere alla Lega maggiore coerenza e meno propaganda, ma, si sa, sognare non costa nulla

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