Il viale del tramonto
Penso che non reggerà. Lo show del Presidente del Consiglio alla Camera, al di là dell’esito che ha sconfessato il progetto di autosufficienza della maggioranza dai voti finiani, dimostra di per sé che il governo di destra è veramente arrivato al capolinea. La mutazione teatrale compiuta a Montecitorio da Berlusconi, che è arrivato a riscoprire quel grottesco “partito dell’amore” che sembrava sepolto da mesi di campagna mediatica condotta contro Gianfranco Fini dai giornali da lui posseduti e dai TG direttamente controllati, a colpi di dossier e rivelazioni di dubbia origine secondo il “metodo Boffo”, indica una grande debolezza politica. Non è solo questione di numeri, che pure era essenziale nel passaggio parlamentare di una maggioranza divisa e a pezzi. Sotto questo profilo il voto di fiducia è stato inesorabile, sancendo il fallimento di quel mercato del voto che la maggioranza e lo stesso Berlusconi avevano insistentemente praticato e addirittura pubblicamente rivendicato. Non solo la squadra di Fini, unitamente alla pattuglia sudista di Lombardo, è risultata decisiva per ottenere la fiducia, nonostante il cinico tentativo berlusconiano di cercare un aiuto da mercenari della politica che hanno come vessillo il trasformismo, ma il Presidente della Camera ha addirittura rilanciato, accelerando la costruzione del suo nuovo partito. Una spada di Damocle, che tallonerà l’azione del governo e che lascia facilmente prevedere nuove aspre battaglie, a partire dalla giustizia, che resta la prima preoc- cupazione del premier.
E c’è l’ingombrante centralità della Lega, che ha prontamente rilanciato la strada delle elezioni a primavera e che, dettaglio emblematico, per tutto il discorso sembrava soffocare anche fisicamente il premier, Bossi a contatto di gomito e Calderoli incombente dall’alto… Ancora più significativa è stata però l’assenza di ogni sostanza nel libro dei sogni illustrato da Berlusconi, in fondo lo stesso presentato dal suo primo governo nel ’94 e mai realizzato: non c’è uno dei progetti riformatori magnificati da Berlusconi nei 5 punti programmatici che in due anni di governo sia stato realizzato o avviato a soluzione. Secondo la sua tecnica illusionista, più volte sperimentata e sostenuta dalle campagne di un immenso potere mediatico, la realtà è stata occultata, trasfigurata in generiche promesse senza alcuna certezza.
Ma la realtà del Paese è ben diversa da quella del ’94 e anche solo da quella del 2008: la devastante crisi economica non è passata, la recessione colpisce l’occupazione, deprime i consumi e la ripresa, ci pone in coda ai paesi europei più sviluppati. Il non aver fatto la minima analisi degli oggettivi dati sul tema del lavoro, né accennato alla vergognosa mancata nomina del ministro dello sviluppo, suona come una sinistra beffa nei confronti dell’esercito crescente dei cassaintegrati, dei precari della scuola e della ricerca, delle imprese fallite o sull’orlo della chiusura, di quel terzo di giovani senza lavoro e senza futuro. Ben altra attenzione da un’opposizione, che ha cercato di blandire solo con generiche parole, avrebbe avuto Berlusconi se avesse posto sia pure problematicamente i termini reali della crisi, di un’Italia sfiduciata e divisa, ferita nella stessa considerazione internazionale, scossa dal crescente razzismo e dalla xenofobia alimentata in particolare da amministratori ed esponenti del principale alleato di governo. Certo però non poteva e non voleva farlo, per non confessare il suo stesso fallimento. Bossi, del resto, come minimo gli avrebbe dato di gomito… Allo stesso modo non ha fatto il minimo accen- no al dilagare economico degli interessi mafiosi, trincerandosi dietro il solito bilancio degli arresti e dei sequestri, come se li avesse compiuti personalmente il ministro Maroni e non quei pubblici ministeri e quelle forze di polizia a cui si cercano di applicare limiti e condizionamenti, togliendo loro essenziali risorse. La vera “chicca” è stato l’accenno trionfalistico alla realizza- zione della Salerno-Reggio Calabria : il fantasma degli eterni condizionamenti della camorra e della ‘ndrangheta sugli appalti ha volteggiato per un attimo nell’aula, destando l’irrefrenabile ilarità delle opposizioni.
E quale occasione ha perso Berlusconi, non ricordando l’assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco-pescatore onesto, per il quale – come ha ricordato la vedova di Angelo – non ha speso finora una parola, unico fra i rappresentanti delle istituzioni. Eppure, nonostante tutto, il premier continua a non volere quelle elezioni anticipate da lui prima auspicate, fino a sfiorare una esplicita richiesta al Capo dello Stato. E’solo il timore di non riuscire ad avere una vera maggioranza al Senato o addirittura un’incertezza sull’esito, data la crescente perdita di consensi degli ultimi sondaggi? Quanto pesa il timore che con la probabile decisione di incostituzionalità dell’attuale legittimo impedimento, con la riunione della Consulta del 14 dicembre, venga a cadere lo scudo protettivo nei confronti dei processi milanesi, lasciandolo scoperto e non in grado di elaborare nuove forme legislative di protezione personale?
Il fugace attacco all’”uso politico della giustizia” dimostra peraltro che sotto la maschera dello statista al di sopra delle parti esibita in Parlamento e la generica copertura di una astratta riforma della giustizia, continua inesorabile a pulsare il cuore profondo del “caimano”. Ora il re è davvero nudo, con una maggioranza divisa, potenzialmente in guerra civile. Non credo dunque che la situazione del governo possa reggere a lungo e da ogni parte, non solo da Fini ed i suoi, si cominciano ad affilare le armi della competizione elettorale, per l’Italia gravida di rischi e d’avventura. Il fallimento della opportunistica mossa parlamentare di Berlusconi ha dato una poderosa spallata in quella direzione. Ovviamente Giorgio Napolitano permettendo. La nostra splendida Costituzione consentirebbe infatti, in caso di crisi di governo, di cercare una difficile, ma ancora possibile soluzione alternativa in Parlamento. Se non altro per cambiare la micidiale legge elettorale e cercare di limitare il conflitto di interessi. Un’enorme responsabilità, soprattutto per opposizioni divise, nel caso del PD anche al proprio interno, finora divaricate su progetti di alleanze alternative quanto incerte.
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