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Rapporto “O2”, la Campania è la terza regione per cronisti minacciati

Di Aldo Cimmino il . Campania

Si è svolto stamane a Napoli il regione.campania.it/showInEvidenceDocuments.php?bb1a82c9aa29ce63beb388080ed9f1d4=1553e61c3f6cf64b9848384dcf5321c7&id_document=155&refresh=on”>“Premio Giancarlo Siani”. Il concorso è organizzato dall’ordine dei giornalisti della Campania, dall’Università Suor Orsola Benincasa, dall’Associazione Giancarlo Siani e il quotidiano “Il Mattino”. Il premio giunge alla sua settima edizione, nella giornata in cui si celebra la memoria del giovane cronista ucciso dalla camorra il 23 settembre di venticinque anni fa. Il “Premio Giancarlo Siani” quest’anno è stato assegnato all’opera “Africa Bomber” di Goffredo De Pascale, giornalista di lungo corso che ha lavorato, tra gli altri, per Ansa e “L’Unità”. “Africa Bomber” tratta della fuga dalla Nigeria di un ragazzo di soli diciassette anni. È ricercato dalla polizia a causa del suo attivismo politico e per motivi religiosi.  Una storia travagliata di un talentuoso ragazzino che nel suo paese era il bomber della sua squadra di calcio. Dopo una serie di sbarchi clandestini riesce ad ottenere lo status di rifugiato politico dalla Questura di Crotone. Ora Kalas attende il sogno di vincere il suo Mondiale.

Una storia, quella raccontata da De Pascale, che mette in luce l’esistenza di realtà geograficamente molto distanti da quelle italiane e pesantemente colpite nei diritti fondamentali come quello alla libera espressione di pensiero e parole e dunque quello all’informazione. A rilevarlo il Rapporto 2010 di Ossigeno, l’osservatorio permanente nazionale sui cronisti minacciati, promossa da Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine Nazionale dei giornalisti. L’osservatorio, guidato dal consigliere nazionale della FNSI, Alberto Spampinato, ha rilevato come nel resto del mondo il numero dei giornalisti uccisi sia aumentato. Su quel numero in aumento pesano, come macigni, i trenta giornalisti uccisi nelle Filippine il 23 novembre 2009 nell’isola di Mindanao. Se nel resto del mondo i giornalisti muoiono perché inviati di guerra, in Italia muoiono o sono minacciati, con pesanti conseguenze costrittive per la loro vita, perché sono “inviati di pace”. In Italia non ci sono conflitti o guerriglie ma i cronisti che trattano di mafia e politica sono segnati a vita. Questa è la drammatica realtà che il rapporto Ossigeno, presentato in occasione del Premio, disegna attraverso i dati. Circa 53 sono gli episodi di minacce che sono stati registrati nel documento.

Oltre 15 quelli segnalati successivamente alla chiusura del rapporto. Nella classifica delle regioni più colpite dal fenomeno, la Campania è al terzo posto. Tra le tante storie di giornalisti napoletani minacciati va anche segnalata una notizia positiva. Il 10 luglio del 2009 infatti il Tribunale di Napoli condanna il boss Salvatore Giuliano ad un risarcimento di alcune migliaia di euro per aver minacciato Arnaldo Capezzuto, giornalista che al tempo dei fatti scriveva per “Napolipiù” e che precedentemente si era occupato proprio della morte accidentale di Annalisa Durante, uccisa a sedici anni da un proiettile vagante nel quartiere napoletano di Forcella. In realtà lo stesso Capezzuto racconta come questa condanna non abbia scalfito l’arroganza dei clan che riducono l’informazione locale, specialmente in queste zone così fortemente condizionate dalla criminalità, ad uno stato di rassegnazione. Ancora si legge nel rapporto di “O2”, Ossigeno per l’informazione, che in questo territorio “se tutti i giornalisti che subiscono un’intimidazione la denunciassero, ci dovrebbe essere un magistrato apposta per lavorare solo su questo”. Dunque se la storia di Capezzuto non lascia ben sperare, non è da meno quella del giornalista Andrea Migliaccio. Il cronista napoletano viene letteralmente schiaffeggiato dal comandante della polizia municipale, Luigi Sementa. Migliaccio aveva osato scrivere che il comandante usava il pugno di ferro nel resto della città ma non nel suo quartiere, dove l’illegalità ne faceva da padrona. Il cronista ha osato, il cronista è schiaffeggiato perché questa è la punizione per chi fa bene il proprio lavoro. Ma queste sono terre in cui la camorra, e non solo quella che spara, ostacola i giornalisti-giornalisti, citando il film di Marco Risi che racconta la figura di Giancarlo Siani. Quelli che vogliono raccontare la verità inevitabilmente cadono. Non si può raccontare, in Campania,  sulle colonne dei giornali, per esempio, che la zona di Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta, è la “Svizzera dei clan” perché è il luogo dove maggiormente si concentra il riciclaggio di denaro sporco. Non si può raccontare in un paese come l’Italia che in zona Sparanise, sorge una centrale termoelettrica e se qualcuno si opponeva alla sua costruzione rischiava fisicamente.

Così come se qualcuno, come il giornalista Enzo Palmesano, provava a fare delle inchieste sulla centrale, interveniva sempre, per metterle a tacere, l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino. Proprio quel Cosentino contro il quale, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Il reato contestato? Concorso esterno in associazione camorristica. Esito della vicenda? La camera ha negato, proprio due giorni fa, l’uso delle intercettazioni a carico di Cosentino. Resta il fatto che nell’ordinanza del Gip, del 7 novembre 2009,  si legge: ”I rapporti di affinità familiare, comune estrazione territoriale e acclarata confidenza/gratitudine impediscono, allo stato, di ritenere credibili argomenti difensivi che siano incentrati sul tema dell’inconsapevolezza dell’indagato circa l’estrazione camorristica dei soggetti con i quali venne di volta in volta a relazionarsi“. Questo quindi il quadro delineato dal rapporto sui cronisti minacciati. Un contesto, territoriale e non solo, che costringe l’informazione all’autocensura per l’impossibilità, anche fisica, di raccontare i fatti. Giancarlo Siani è morto perché raccontava e non stava zitto. La camorra lo ha ridotto al silenzio ma le sue inchieste e i sui articoli parlano ancora. Parla ancora la sua voglia e il suo modo di fare giornalismo. Parla ancora quell’ ”abusivo” di ventisei anni che ci ha raccontato un pezzo fondamentale della Campania dei primi anni ’80. Parla ancora Giancarlo Siani e con lui tutti i giornalisti che vogliono un’informazione vera e libera.  

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