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Anniversario della morte del piccolo Dodò

Di Angela De Lorenzo (da Il Crotonese) il . Calabria

 «Pentitevi, convertitevi e smettetela di continuare ad umiliarci negando l’evidenza. Le vostre colpe sono scritte nero su bianco, le prove sono schiaccianti, ormai è inutile negare. Se ne avete, mettete da parte la vergogna e confessate, assumetevi le vostre responsabilità, è l’ultima cosa sensata che possiate fare». È l’appello che Giovanni Gabriele, il padre di Dodò, ad un anno dalla sua morte, lancia ai componenti della famiglia Tornicchio, ovvero ai presunti autori della strage avvenuta il 25 giugno 2009 nel campetto di calcio di Margherita, in cui il figlio rimase vittima mentre giocava, per perdere la vita tre mesi dopo. 

«È passato un anno – dice Giovanni Gabriele – la nostra vita è stata devastata, non posso parlare di come stiamo, di come sono le nostre giornate, perché queste sono cose che non si possono raccontare con le parole, nessuno può capire me e mia moglie. Nostro figlio non c’è più, questo basta a dire tutto. Se ne è andato e con lui si è portato dietro la nostra esistenza, non viviamo più, sopravviviamo». Un anno è passato lento per questi due genitori, cadenzato da visite costanti al cimitero a contemplare una morte assurda, impossibile da accettare: «andiamo spesso, a volte non vorremmo staccarci dalla tomba per sentirlo più vicino, ma non serve a colmare il vuoto che proviamo, non ci basterebbe nemmeno restare lì a dormire… È inutile, è solo una ricerca vana. A casa ti sembra di sentirlo presente, perché sei avvolto dai ricordi, a volte hai come l’impressione che non sia successo niente, ma poi torni alla realtà ed è tutto ancora più doloroso».  È duro ogni giorno, anche vivere le cose più semplici della quotidianità: «vivi male – racconta Francesca, la mamma di Dodò – i momenti importanti, le ricorrenze, ma anche le cose più semplici, ad esempio, i pomeriggi senza aiutarlo a fare i compiti, le serate d’estate in cui non lo vedi giocare in giardino. Io mio figlio lo vedo ovunque, anche quando sono in giro in città, quando vado nella sua stanza che è come l’ha lasciata lui… È impossibile non pensare a quando certe cose le facevamo insieme e non potevamo mai immaginare quello che ci sarebbe accaduto. Non ho avuto la forza di andare al mare, solo guardarla la spiaggia mi faceva venire in mente quei momenti di felicità che non torneranno, io al mare andavo solo perché lo rendeva felice, giocava, si divertiva. Per lo stesso motivo non sono voluta andare a vendemmiare nel nostro vigneto… Vorrei provare a reagire, ma non è facile affrontare questo dolore, superare il blocco che ti porti dentro. Ormai la mia vita è segnata». 

A vendemmiare Giovanni quest’anno è andato solo, «cerco di farmi forza, di svolgere i lavori necessari, ma è troppo doloroso compiere questo sforzo: nel vigneto, tra le cassette, mi sembrava di vedere Domenico, mi veniva in mente l’ultima volta che eravamo lì insieme, quando faceva tanto caldo e lui era stanco e sudato. Ecco cosa hanno combinato alla mia famiglia, ci hanno strappato tutto, la serenità, la gioia delle piccole cose. Ci hanno tolto la cosa più bella che avevamo, tutto praticamente». Quest’anno per Giovanni e Francesca è stato lungo e doloroso, segnato dalla difficoltà di dover affrontare il processo, ma anche dalla voglia di trovare un senso nuovo da dare alle proprie esistenze ferite. Quel senso  lo hanno trovato nella lotta per la legalità. Sono stati presenti in prima linea ogni qualvolta è stato necessario parlare ai giovani della città, quando è stato il momento di sfilare per strada contro la criminalità e la violenza.

«Sperare in un cambiamento culturale, credere che i giovani crotonesi domani saranno migliori – dice Francesca – è l’unico pensiero che può alleviare il mio dolore, perché mi fa credere che la morte di Dodò non è stata inutile. Questa città ha ricevuto un duro scossone dopo la strage, tutti si sono sentiti toccati, feriti. Siamo grati per la vicinanza che abbiamo ricevuto, soprattutto da parte di ‘Libera’, ma anche dal mondo della scuola, dai compagni di Domenico, dalle istituzioni che continuano a coltivare la memoria di mio figlio. Credo che dopo questo fatto assurdo la città sia cambiata, lo ha dimostrato tante volte e questo mi riempie il cuore, però so anche che c’è ancora tanto da fare, bisogna lavorare ancora molto per la legalità e spero che il nome di Domenico sostenga questa battaglia. Io prego tutti di non dimenticarlo mai, ma non per rispetto nei nostri confronti, solo perché vorrei che il suo ricordo serva da monito, perché cose simili non riaccadano mai più. I bambini non si toccano – esclama categorica – la morte di mio figlio serva a farlo capire una volta per sempre».

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