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“L’assalto alla Costituzione della destra oggi al governo nasconde la pretesa del comando”

Sandra Bonsanti, Stefania Limiti il . Costituzione, Diritti, Istituzioni, Politica, Società

La vittoria della coalizione guidata dalla destra alle elezioni politiche dello scorso anno ha aperto una nuova fase politica nel Paese e nelle ultime settimane è tornata di attualità l’ipotesi del premierato contenuta nella proposta di riforma della Costituzione.

Nel dibattito in corso si perdono di vista le vicende che, periodicamente e anche in un recente passato, hanno proposto il presidenzialismo come soluzione alla crisi delle istituzioni della Repubblica: dai tentativi di golpe alla P2, dalle ipotesi di riforma volute da Craxi a quelle di Renzi, passando per le picconate di Cossiga.

Diventa quindi ora necessario più che mai cercare di andare oltre gli slogan per arrivare a cogliere le vere intenzioni, più o meno nascoste, più o meno legittime, di chi vorrebbe mettere il potere nelle mani di un capo eletto direttamente dal popolo, rafforzando i poteri del governo e limitando quelli del Parlamento.

Ecco perchè, in accordo con le autrici e per gentile concessione di PaperFIRST, Libera Informazione è lieta di pubblicare un abstract dal nuovo libro di Sandra Bonsanti e Stefania Limiti, intitolato “LA PRETESA DEL COMANDO. Da Gelli alla destra al governo. Presidenzialismo e assalto alla Costituzione”.

Introduzione

La marcia contro la Carta costituzionale del ’48 è partita insieme alla nascita della Repubblica e non si è mai fermata. Diversi sono i modi e le forme assunti dallo strisciante tentativo di frantumare l’architettura dello Stato disegnata con pensiero profondo e accorto, per evitare che l’Italia potesse scivolare ancora verso forme di autoritarismo.

Tra di essi ha avuto una certa continuità, con alti e bassi, l’idea di dare alla Repubblica un unico volto, quello di un presidente eletto dal furore di popolo che è sempre sensibile ai richiami forti e alle maree montanti: terreno prediletto delle destre reazionarie.

La proposta di introdurre il presidenzialismo, dunque l’elezione diretta di un capo di Stato (secondo il modello proposto e respinto nella xviii legislatura dal partito erede del fascismo, Fratelli d’Italia) sta assumendo oggi un andamento incalzante e preoccupante, parola d’ordine del fronte reazionario guidato dall’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che concederebbe, in alternativa, per attirare l’area moderata più indecisa, l’elezione diretta del premier.

Eccoci qui, dunque, a misurarci con lo spettro di tante cose che ci hanno rincorso negli anni e che ogni volta abbiamo creduto di aver rimandato indietro per sempre, pur sapendo che una buona fetta delle nostre classi dirigenti non ha mai voluto chiudere le porte a un pensiero fascistoide con diverse sfumature, nostalgico del Ventennio, interpretando in forme nuove l’aspirazione all’autoritarismo.

I nuovi assetti politici imposti dalle elezioni del settembre 2022 prospettano una zampata quasi brutale alla nostra Costituzione, con il ritorno in sella di una destra aggressivae inebriata da una svolta che potrebbe trasformare il Paese: un altro sistema rispetto a quello esistente, un’altra forma di Stato e uno stravolgimento degli equilibri fino a ora garanti di una dialettica democratica.

È un terreno di riflessione e di battaglia politica cruciale nei prossimi mesi (non anni) che va affrontato con la consapevolezza della sua portata, tenendo conto che la fascinazione si incunea senza fatica anche tra coloro che si nutrono di cultura liberal-democratica: «In fin dei conti il sistema  presidenziale non è un male in sé», sentiamo dire con preoccupante frequenza. In genere chi lo dice pensa a Stati Uniti e Francia: ecco, intanto respingiamo questo piano del ragionamento e non solo perché è vero anche il contrario. Esistono cioè Paesi in cui l’elezione popolare del presidente coincide con tratti fortemente, drammaticamente autocratici, dall’Ungheria alla Russia e alla Turchia.

Del resto, può una formale impalcatura giuridica contenere ed esaurire la questione del modello di società, di giustizia sociale e del rispetto dell’individuo? Evidentemente no. Non intendiamo qui inoltrarci nei terreni d’altri, non abbiamo la pretesa di indagare il senso filosofico o giuridico di un regime in senso astratto. Vogliamo però capire cosa significa oggi toccare questo nostro sistema, per fare cosa, per portare il Paese verso quali lidi.

È ovvio, dicevamo, che anche forme di governo e sistemi costituzionali diversi dal nostro sono democratici come si intende in Occidente. Ma questo non ci basta affatto per fare a pezzi la nostra Carta.

Eppure questa via è stata preannunciata ed è facile prevedere che verranno allestite grandi manovre per ammaliare pezzi di una opposizione sbandata, già in passato alle prese senza successo con laboratori di scrittura chiamati Bicamerali: uno di essi ha tentato di “cucinare” un modello semipresidenziale alla francese [1] proprio come quello richiamato alle Camere da Giorgia Meloni in occasione del voto di fiducia al suo governo (24 ottobre 2022): volete che qualcuno non si faccia allettare dalla nuova avventura? Sono già pronti gli amici del Sindaco d’Italia! Ebbene, c’è da essere estremamente preoccupati in un Paese dalla democrazia fragile e incompiuta, dove, anzi, potrebbe essere un abile espediente per una torsione autoritaria del nostro sistema politico [2].

Se vogliamo poi guardarla dal punto di vista di chi invoca solo stabilità e continuità dell’azione del governo, senza nessun compiacimento autoritario, davvero avere un presidente incollato alla sua sedia per un certo numero di anni è una garanzia? Ovvio che no.

Basta guardare alla instabilità di un Macron, eletto da una maggioranza risicata e con un Parlamento che gli si contrappone, o la britannica Truss, passata per Downing Street per soli quaranta giorni, o il vecchio Biden traballante sulle sue gambe e al Congresso: il costituzionalista Massimo Villone lo spiega lucidamente: «Si tratta di proposte [presidenzialismo o semi, NdA] che riflettono un pensiero politico e istituzionale Invecchiato, basato su modelli di società che non esistono più… La stabilità dei governi? Vuole dire non capire che i modelli di elezione diretta davano un rendimento alto in società diverse da quelle odierne, più coese, nelle quali le competizioni elettorali si vincevano al centro. Ora le società sono radicalizzate e divise, l’elezione diretta si vince andando non al centro ma alle ali estreme. Richiamare quei modelli ora significa che non si è studiato abbastanza. Oggi c’è bisogno proprio del contrario. La frammentazione e la radicalizzazione richiedono un sistema parlamentare che stempera i contrasti e li porta a sintesi» [3].

Perché dunque questa ossessione di dare all’Italia una faccia presidenziale, di comprimere un intero popolo su un solo volto? Proprio qui, abituati come siamo a un presidente della Repubblica che è capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (articolo 87 della Costituzione): non rappresenta il popolo. «Il popolo non può essere rappresentato da un solo uomo» [4].

La pluralità degli orientamenti sociali è rappresentata nelle Assemblee parlamentari elette: perciò nel nostro ordinamento introdurre un presidente eletto direttamente con una maggioranza espressa nelle urne sarebbe una stortura, l’abbandono di una figura che esercita l’unità del Paese senza essere schiacciata dalla forza di una maggioranza. Per quanto destinata a crescere dalla forza delle cose, se la capacità di scelta dei partiti è fortemente indebolita – lo abbiamo visto nei casi di rielezione di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella – la figura del presidente non è affatto notarile, tanto che secondo una analisi della rivista «Limes» [5], il Quirinale rappresenterebbe, anzi, il cuore del nostro Stato profondo, il luogo centrale della «burocrazia strategica».

Il presidente, ad esempio, autorizza l’emanazione dei (sempre più invadenti, per altro) decreti-legge del governo: per quanto la prassi e lo spirito costituzionale riducono al minimo la possibilità che il capo dello Stato intervenga nell’attività dell’Esecutivo, tuttavia ricordiamo bene il rifiuto di Giorgio Napolitano di firmare il cosiddetto decreto “Englaro”, quello con cui Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio (febbraio 2009), pretendeva di stracciare una sentenza della Cassazione che autorizzava, in certe condizioni, come erano quelle nelle quali viveva la giovane Eluana Englaro, la cessazione dei trattamenti sanitari vitali. Il capo dello Stato stoppò il tentativo odioso di strumentalizzare quel povero corpo infermo da parte del governo di turno e non cedette al ricatto – «sarai l’assassino di Eluana» – di firmare il decreto.

Fu un caso clamoroso e significativo delle funzioni non ordinarie della figura del capo dello Stato secondo l’architettura costituzionale italiana: cioè una espressione di garanzia suprema che sarebbe completamente superata da un voto diretto che lo renderebbe il candidato espressione di un partito o di un movimento che inevitabilmente sarebbero schierati e mobilitati a suo sostegno.

Naturalmente verrebbe giù tutta la struttura dello Stato: quel presidente non potrebbe più eleggere i giudici della Consulta (oggi cinque), né presiedere il Consiglio superiore della magistratura. Per non dire delle conseguenze sui suoi poteri di scioglimento del Parlamento: tutto dovrebbe essere sovvertito, e la Consulta, intervenuta in passato contro leggi-truffa (ad esempio la Gasparri sull’emittenza), salterebbe in aria.

Serve “stabilità”, dicono i fan del presidenzialismo, mentendo spudoratamente perché intendono soltanto che serve stringere le maglie del comando, tagliare gli spazi di confronto, finirla con una continua “trattativa” sulle scelte. Chi vince governa, si sbrigano a dire. Mentono perché vogliono portare il sistema fuori dal complesso di norme che dovrebbero fare del Paese un luogo di convivenza e di scelte democratiche.

Mentono perché è già così: non ha forse grandi poteri, e li sta esercitando, l’attuale presidente del Consiglio, vincitrice delle elezioni? (Al netto dell’astensionismo e di una legge elettorale che manipola il voto.)


Note

[1] Si veda in allegato al libro la scheda sulle proposte di revisione costituzionale avviate in passato.

[2] Si veda l’intervento del senatore Roberto Scarpinato nel dibattito sulla fiducia al governo Meloni, 25 ottobre 2022.

[3] Massimo Villone, costituzionalista, intervista a Radio Radicale, 26 ottobre 2022.

[4] www.domenicogallo.it, dicembre 2021.

[5] N. 8/2018.


Abstract: Sandra Bonsanti, Stefania Limiti, “LA PRETESA DEL COMANDO. Da Gelli alla destra al governo. Presidenzialismo e assalto alla Costituzione”, PaperFIRST, Roma 2023


Le autrici

Sandra Bonsanti, giornalista, ha scritto per Il Mondo, Epoca, Panorama, Il Giorno, La Stampa, Repubblica e Il Tirreno. Tra i suoi libri, editi da Chiarelettere, Stanotte dormirai nel letto del re, Il canto della libertà, Il gioco grande del potere.

Stefania Limiti, giornalista, collabora con il Fatto Quotidiano e Left. In passato ha lavorato per Gente, L’Espresso, La Rinascita della Sinistra, Aprile. Da anni si dedica alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della nostra storia. Tra i suoi libri, per Chiarelettere, L’Anello della Repubblica, Complici (con Sandro Provvisionato), Doppio livello, La strategia dell’inganno, Colpevoli (con Sandra Bonsanti) e Potere occulto.


La pretesa del comando

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