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Cesa, minacce al sindaco

Di Alessandra Tommasino il . Campania



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“Sindaco farai la stessa fine”.
Quella del padre Gennaro, agente di polizia penitenziaria ucciso
dalla camorra per essersi opposto all’introduzione di armi dei clan
al carcere di Poggioreale. Era il 1982 quando i Cutoliani glielo
portarono via per sempre e allora Vincenzo, oggi primo cittadino di
Cesa, paese della fascia territoriale compresa fra Caserta e Napoli,
era un bambino. La minaccia di morte a lui arriva a distanza di
ventotto anni da quel terribile lutto. E nel modo più infimo che si
possa immaginare: attraverso un messaggio sulla lapide del padre,
scritto con un pennarello nero indelebile. Parole chiare rivolte a un
sindaco eletto tre anni fa e che, in terra di camorra, ha intrapreso
una strada di riscatto e legalità, senza il clamore dei successi
gridati, ma con azioni concrete e portate avanti giorno per giorno.

Con la realizzazione di servizi, come
la metanizzazione, a lungo ostacolati dagli interessi dei clan. La
minaccia reca la firma Br. Ma, seppure le Brigate rosse, a Cesa,
abbiano avuto un ruolo di primo piano, negli anni di piombo, il
rinvio alla matrice camorristica appare piuttosto naturale. De
Angelis, già in passato, aveva subito atti intimidatori. La
recisione degli pneumatici della sua auto, parcheggiata all’esterno
del municipio e presa di mira assieme a quella dell’assessore al
Bilancio Stefano Verde, è un atto il cui autore ancora non ha un
nome. Sulla possibilità che ci sia un filo conduttore con quanto
accaduto in passato indagano i carabinieri del comando di Aversa. E’
necessario fare chiarezza per recuperare la serenità e per dare
risposte alla gente comune, ancora turbata dall’uccisione del
sindaco Angelo Vassallo. Uomini e donne che non ci stanno a subire la
violenza e il sopruso della criminalità organizzata e che, nello
spiraglio del cambiamento, cominciano a credere davvero. Vincenzo De
Angelis, in quota Pd, non è solo. Al suo fianco i cittadini di Cesa,
le associazioni, Libera, Comitato Don Diana, Legambiente. I familiari
delle vittime innocenti di camorra.

Si alza la voce di Gennaro Del Prete,
figlio di Federico, il sindacalista ucciso dal clan dei Casalesi.
“Adesso basta- grida Del Prete- la nostra azione contro la camorra
deve essere sempre più incisiva”. Dalla sua parte i sindaci che
lavorano nell’hinterland aversano, roccaforte del potere mafioso, e
che colgono l’episodio di De Angelis, come occasione di sfogo e
richiesta di aiuto. “Amministrare qui- sostengono alcuni primi
cittadini-significa rischiare ogni giorno, ma se le forze positive
del territorio si uniscono e fanno fronte comune, allora insieme ce
la possiamo fare”. De Angelis è scosso. A quella scritta che getta
sale su una ferita mai chiusa, avrebbe forse preferito dei colpi di
pistola esplosi contro l’auto. Eppure non si arrende. “Non sono
un eroe- dice- sono solo al servizio dei cittadini e ho il dovere di
andare fino in fondo”. In nome della sua missione politica e in
nome della memoria del padre, uomo dalla schiena dritta. “Dopo che
la camorra ha ucciso, tirando calci alla mia vita- parla del passato-
io da che parte stare l’ho sempre saputo. Senza se e senza ma.
Contro la violenza e il malaffare che uccidono la vita. Io la vita
voglio celebrarla, anche quando si nasce e si vive in contesti così
difficili e spietati”.

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