Dalla Chiesa: il prefetto dei cento giorni
Lo speciale inizia proprio dalla fine:
Ricostruisce la sera del 3 settembre
1982, quando l’auto diretta verso
casa, viene intercettata e fermata a
colpi di fucile. Nell’agguato muoiono oltre al
generale anche la moglie Emanuela e l’agente
di scorta Domenico Russo.
Questo delitto di mafia, più di altri, non può
essere interamente compreso se non contestualizzato.
Gli anni 80 in Sicilia sono stati
contrassegnati da una lunga scia di sangue, in
quegli stessi anni furono uccisi in una sequela
impressionante di alti vertici delle forze amate
e numerosi magistrati.
Era il periodo in cui la Sicilia, Palermo in particolare
avvenivano fino a quattro omicidi di mafia
in una sola giornata.
Una grossa parte, degli
omicidi con movente mafioso, avvenne proprio
in quegli anni. Dal dopo guerra fino a gli anni
ottanta si conteranno circa 3000 omicidi in Sicilia,
numeri da guerra civile.
E’ questo il contesto storico che cerca di trasmettere
“il prefetto dei cento giorni” prodotto
dalla redazione de “La storia siamo noi”.
La biografia del generale viene sapientemente
intramezzata, con le voci di chi lo ha conosciuto,
soprattutto con le sue stesse parole quelle
del suo diario personale lette da una voce fuori
campo.
Tra le opinioni e le interviste di chi lo ha conosciuto
colleghi tra cui l’ex generale Bozzo; l’ex
ministro dell’interno Rognoni e l’ex presidente
della repubblica Cossiga; e quella più partecipata
dei figli Rita e Nando.
omicidi con movente mafioso, avvenne proprio
in quegli anni. Dal dopo guerra fino a gli anni
ottanta si conteranno circa 3000 omicidi in Sicilia,
numeri da guerra civile.
E’ questo il contesto storico che cerca di trasmettere
“il prefetto dei cento giorni” prodotto
dalla redazione de “La storia siamo noi”.
La biografia del generale viene sapientemente
intramezzata, con le voci di chi lo ha conosciuto,
soprattutto con le sue stesse parole quelle
del suo diario personale lette da una voce fuori
campo.
Tra le opinioni e le interviste di chi lo ha conosciuto
colleghi tra cui l’ex generale Bozzo; l’ex
ministro dell’interno Rognoni e l’ex presidente
della repubblica Cossiga; e quella più partecipata
dei figli Rita e Nando.
Materialmente complicato scindere la personalità
del generale dal suo essere un soldato.
La sua vita è stata costantemente intrecciata
con la vita militare anche con quella irregolare
che inizia durante il secondo conflitto mondiale
è’ in quel momento che sceglie di prendere parte
alla Resistenza come partigiano, operando
fra le Marche e l’Abruzzo come responsabile
delle trasmissioni radio clandestine di informazioni
per gli americani, con cui partecipa alla
liberazione di Roma.
Durante l’esperienza partigiana apprenderà le
tecniche di guerriglia che poi utilizzerà, 30 anni
più tardi, nella sua strategia contro il terrorismo
delle Brigate Rosse.
del generale dal suo essere un soldato.
La sua vita è stata costantemente intrecciata
con la vita militare anche con quella irregolare
che inizia durante il secondo conflitto mondiale
è’ in quel momento che sceglie di prendere parte
alla Resistenza come partigiano, operando
fra le Marche e l’Abruzzo come responsabile
delle trasmissioni radio clandestine di informazioni
per gli americani, con cui partecipa alla
liberazione di Roma.
Durante l’esperienza partigiana apprenderà le
tecniche di guerriglia che poi utilizzerà, 30 anni
più tardi, nella sua strategia contro il terrorismo
delle Brigate Rosse.
Con il grado di Capitano, viene inviato in Campania,
dove affronta le sue prime esperienze
operative contro il banditismo, in seguito alle
quali farà richiesta di trasferimento in Sicilia.
Ci arriva nel 1949, ed entra nelle Forze di Repressione
del Banditismo sotto il comando del
Generale Ugo Luca, misurandosi con criminali
della portata di Salvatore Giuliano – che sarà
fra i responsabili della strage di Portella della
Ginestra, del 1947 – e tentando di arginare le
tensioni separatiste rivendicate dal suo gruppo,
in guerra con i clan mafiosi locali. Viene
promosso capitano, e sarà lui ad occuparsi del
rapimento e successivo assassinio del sindacalista
Placido Rizzotto, eliminato dalla banda del
boss Luciano Liggio. Riesce ad arrestarlo, con
tutti i suoi complici, ma il processo si chiuderà
con una serie di assoluzioni per insufficienza di
prove.
dove affronta le sue prime esperienze
operative contro il banditismo, in seguito alle
quali farà richiesta di trasferimento in Sicilia.
Ci arriva nel 1949, ed entra nelle Forze di Repressione
del Banditismo sotto il comando del
Generale Ugo Luca, misurandosi con criminali
della portata di Salvatore Giuliano – che sarà
fra i responsabili della strage di Portella della
Ginestra, del 1947 – e tentando di arginare le
tensioni separatiste rivendicate dal suo gruppo,
in guerra con i clan mafiosi locali. Viene
promosso capitano, e sarà lui ad occuparsi del
rapimento e successivo assassinio del sindacalista
Placido Rizzotto, eliminato dalla banda del
boss Luciano Liggio. Riesce ad arrestarlo, con
tutti i suoi complici, ma il processo si chiuderà
con una serie di assoluzioni per insufficienza di
prove.
È solo la prima di una lunga serie di indagini
sugli omicidi “eccellenti” che insanguinano
l’Italia per un ventennio, cui Dalla Chiesa sarà
sempre alla testa instancabilmente.
Era un uomo profondamente legato al senso
del dovere e dello stato, contemporaneamente
autonomo molto spesso agisce nei limiti della
legalità pur di portare a buon fine le operazioni
che gli vengano affidate.
Dal 1966 al 1973 è nuovamente in Sicilia con
il grado di colonnello, e comanda la legione dei
Carabinieri di Palermo, ottenendo i primi importanti
successi nella lotta contro la mafia.
Assicura infatti alla giustizia, durante quegli
anni, boss come Gerlando Alberti e il celeberrimo
Frank Coppola, iniziando a seguire la pericolosa
pista della collusione fra mafia e istituzioni
statali.
In quel periodo lavora alle indagini su un altro
omicidio di mafia: quello del giornalista Mauro
de Mauro, assassinato il 16 settembre del 1970.
sugli omicidi “eccellenti” che insanguinano
l’Italia per un ventennio, cui Dalla Chiesa sarà
sempre alla testa instancabilmente.
Era un uomo profondamente legato al senso
del dovere e dello stato, contemporaneamente
autonomo molto spesso agisce nei limiti della
legalità pur di portare a buon fine le operazioni
che gli vengano affidate.
Dal 1966 al 1973 è nuovamente in Sicilia con
il grado di colonnello, e comanda la legione dei
Carabinieri di Palermo, ottenendo i primi importanti
successi nella lotta contro la mafia.
Assicura infatti alla giustizia, durante quegli
anni, boss come Gerlando Alberti e il celeberrimo
Frank Coppola, iniziando a seguire la pericolosa
pista della collusione fra mafia e istituzioni
statali.
In quel periodo lavora alle indagini su un altro
omicidio di mafia: quello del giornalista Mauro
de Mauro, assassinato il 16 settembre del 1970.
Ma il periodo della lotta contro il terrorismo
rosso e delle istituzioni che lo abbandonano si
inaugura nel 1974, quando viene rapito dalle
Brigate Rosse il giudice Mario Sossi, e Dalla
Chiesa pensa alla costituzione di un nucleo antiterrorismo,
dotato di poteri specifici e di una
notevole autonomia decisionale.
I vertici dell’Arma non sono d’accordo, temono
di non poterlo tenere sotto controllo, e che
dietro le sue richieste si nasconda un eccessivo
protagonismo. Ma il Generale ha l’appoggio
della politica, e del Ministro dell’Interno Paolo
Emilio Taviani in particolare: nel 1974 riescead istituire ufficialmente il Nucleo Speciale Antiterrorismo.
Pochi mesi dopo arriva il primo successo: infatti
guida un’operazione che porta all’arresto,
a Pinerolo, dei due leader delle Brigate Rosse
Renato Curcio e Alberto Franceschini, grazie
alla collaborazione del noto infiltrato Silvano
Girotto detto “Frate Mitra”.
rosso e delle istituzioni che lo abbandonano si
inaugura nel 1974, quando viene rapito dalle
Brigate Rosse il giudice Mario Sossi, e Dalla
Chiesa pensa alla costituzione di un nucleo antiterrorismo,
dotato di poteri specifici e di una
notevole autonomia decisionale.
I vertici dell’Arma non sono d’accordo, temono
di non poterlo tenere sotto controllo, e che
dietro le sue richieste si nasconda un eccessivo
protagonismo. Ma il Generale ha l’appoggio
della politica, e del Ministro dell’Interno Paolo
Emilio Taviani in particolare: nel 1974 riescead istituire ufficialmente il Nucleo Speciale Antiterrorismo.
Pochi mesi dopo arriva il primo successo: infatti
guida un’operazione che porta all’arresto,
a Pinerolo, dei due leader delle Brigate Rosse
Renato Curcio e Alberto Franceschini, grazie
alla collaborazione del noto infiltrato Silvano
Girotto detto “Frate Mitra”.
Le polemiche che
seguono l’operazione di Pinerolo portano i vertici
dell’Arma alla decisione di smantellare il
Nucleo e trasferire il Generale al dipartimento
sicurezza delle carceri: è il 1976, e il generale in
pensione Franco Picchiotti, membro della loggia
massonica deviata P2, gli offre di entrare a
farne parte. Dalla Chiesa non formalizzerà mai
l’iscrizione alla loggia.
Due anni dopo, in seguito all’assassinio del
presidente Aldo Moro, il Ministro dell’Interno
Virginio Rognoni chiama ancora Dalla Chiesa a
gestire un nuovo Nucleo antiterrorismo.
Il 1° ottobre del 1978 mette a segno un altro
colpo: riesce con i suoi uomini ad arrestare i
brigatisti Lauro Azzolini e Nadia Mantovani,
nel cui covo trova i notissimi e discussi memoriali
di Aldo Moro.
Il 20 marzo dell’anno seguente, con il successo
dell’operazione di via Monte Nevoso, registra
l’ennesimo successo: vengono arrestati 9 brigatisti,
fra cui gli esecutori materiali dell’omicidio
Moro.
seguono l’operazione di Pinerolo portano i vertici
dell’Arma alla decisione di smantellare il
Nucleo e trasferire il Generale al dipartimento
sicurezza delle carceri: è il 1976, e il generale in
pensione Franco Picchiotti, membro della loggia
massonica deviata P2, gli offre di entrare a
farne parte. Dalla Chiesa non formalizzerà mai
l’iscrizione alla loggia.
Due anni dopo, in seguito all’assassinio del
presidente Aldo Moro, il Ministro dell’Interno
Virginio Rognoni chiama ancora Dalla Chiesa a
gestire un nuovo Nucleo antiterrorismo.
Il 1° ottobre del 1978 mette a segno un altro
colpo: riesce con i suoi uomini ad arrestare i
brigatisti Lauro Azzolini e Nadia Mantovani,
nel cui covo trova i notissimi e discussi memoriali
di Aldo Moro.
Il 20 marzo dell’anno seguente, con il successo
dell’operazione di via Monte Nevoso, registra
l’ennesimo successo: vengono arrestati 9 brigatisti,
fra cui gli esecutori materiali dell’omicidio
Moro.
È l’apice della carriera di Carlo Alberto Dalla
Chiesa quando, 17 maggio 1981, la Guardia di
Finanza trova negli uffici di Licio Gelli la lista
completa degli appartenenti alla P2: sono 963
nomi che le forze dell’ordine rendono pubblici.
Nel dicembre dello stesso anno viene promosso
al più alto grado dell’Arma: è vice comandante
generale dei Carabinieri, come prima di lui suo
padre. Il 10 luglio 1981 sposa in seconde nozze
la giovane Emanuela Setti Carraro, con una cerimonia
privata in Trentino Alto Adige.
La gioia è breve, perché l’escalation di violenza
che si registra in quel periodo in Sicilia
porta il governo ad avere ancora bisogno del
suo prezioso intervento: il 2 aprile 1982 viene
nominato Superprefetto di Palermo, ed immediatamente
inviato in Sicilia.
Chiesa quando, 17 maggio 1981, la Guardia di
Finanza trova negli uffici di Licio Gelli la lista
completa degli appartenenti alla P2: sono 963
nomi che le forze dell’ordine rendono pubblici.
Nel dicembre dello stesso anno viene promosso
al più alto grado dell’Arma: è vice comandante
generale dei Carabinieri, come prima di lui suo
padre. Il 10 luglio 1981 sposa in seconde nozze
la giovane Emanuela Setti Carraro, con una cerimonia
privata in Trentino Alto Adige.
La gioia è breve, perché l’escalation di violenza
che si registra in quel periodo in Sicilia
porta il governo ad avere ancora bisogno del
suo prezioso intervento: il 2 aprile 1982 viene
nominato Superprefetto di Palermo, ed immediatamente
inviato in Sicilia.
Pochi giorni dopo il caro amico e deputato del
Pci Pio La Torre sarà assassinato dalla mafia.
È qui che l’isolamento del generale vive la sua
stagione più dura: sono continue e incessanti le
pressioni che fa su un governo che lo ha lasciato
completamente solo.
“Era un uomo destinato a morire, completamente
solo. Credo che con quell’intervista che
mi rilasciò abbia firmato la propria condanna a
morte” sono le parole di Giorgio Bocca, mentre
ricorda quella sua storica intervista al generale
proprio nei 100 giorni a Palermo.
Commenterà, lui stesso, quel periodo con la triste
frase rimasta celebre: “Mi mandano in una
realtà come Palermo con gli stessi poteri del
prefetto di Forlì”. È costretto a vivere, insieme
alla nuova moglie, in una casa senza scorta
fra continui sacrifici.
Pci Pio La Torre sarà assassinato dalla mafia.
È qui che l’isolamento del generale vive la sua
stagione più dura: sono continue e incessanti le
pressioni che fa su un governo che lo ha lasciato
completamente solo.
“Era un uomo destinato a morire, completamente
solo. Credo che con quell’intervista che
mi rilasciò abbia firmato la propria condanna a
morte” sono le parole di Giorgio Bocca, mentre
ricorda quella sua storica intervista al generale
proprio nei 100 giorni a Palermo.
Commenterà, lui stesso, quel periodo con la triste
frase rimasta celebre: “Mi mandano in una
realtà come Palermo con gli stessi poteri del
prefetto di Forlì”. È costretto a vivere, insieme
alla nuova moglie, in una casa senza scorta
fra continui sacrifici.
Durante l’agosto dell’82,
quando il numero di vittime della mafia è arrivato
a sfiorare il centinaio, Dalla Chiesa decide
di usare l’ultima arma per uscire dall’isolamento:
rilascia una storica intervista a Giorgio Bocca
su “La Repubblica”.
È il 10 agosto 1982, e il giornale titola “Un
uomo solo contro la mafia”, in un pezzo di violenta
e legittima accusa contro le istituzioni.
“Credo di aver capito il gioco – afferma amaramente
– si uccide il potente quando c’è questa
combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso,
ma si può ucciderlo perché è isolato”
Nonostante questo il Generale continua a circolare
per Palermo senza alcuna protezione, e
senza che a Roma si siano formalizzati i suoi
poteri dandogli la possibilità di intervenire e
chiamare intorno a sé i suoi uomini.
quando il numero di vittime della mafia è arrivato
a sfiorare il centinaio, Dalla Chiesa decide
di usare l’ultima arma per uscire dall’isolamento:
rilascia una storica intervista a Giorgio Bocca
su “La Repubblica”.
È il 10 agosto 1982, e il giornale titola “Un
uomo solo contro la mafia”, in un pezzo di violenta
e legittima accusa contro le istituzioni.
“Credo di aver capito il gioco – afferma amaramente
– si uccide il potente quando c’è questa
combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso,
ma si può ucciderlo perché è isolato”
Nonostante questo il Generale continua a circolare
per Palermo senza alcuna protezione, e
senza che a Roma si siano formalizzati i suoi
poteri dandogli la possibilità di intervenire e
chiamare intorno a sé i suoi uomini.
A fine mese
il ministro Rognoni vola in Sicilia per rassicurare
personalmente Dalla Chiesa: finalmente
avrà i suoi uomini e la libertà di intervento che
richiede da mesi. Non farà in tempo ad organizzarsi,
poiché verrà ucciso poco dopo dalla
mafia.
Il giorno del funerale, a Palermo, i membri delle
Istituzioni che si presentano vengono accolti
da urla, insulti, sputi e lanci di monete da parte
della folla palermitana riunita di fronte alla
chiesa.
L’amarezza e la consapevolezza di aver perso
un valoroso generale, è un sottofondo muto di
tutto lo speciale. Le parole del figlio Nando
sono emblematiche:
“Una parte minoritaria di società politica e
dell’informazione si è mossa per aiutarlo. Ma
era il cuore del potere che non batteva più per
lui”.
il ministro Rognoni vola in Sicilia per rassicurare
personalmente Dalla Chiesa: finalmente
avrà i suoi uomini e la libertà di intervento che
richiede da mesi. Non farà in tempo ad organizzarsi,
poiché verrà ucciso poco dopo dalla
mafia.
Il giorno del funerale, a Palermo, i membri delle
Istituzioni che si presentano vengono accolti
da urla, insulti, sputi e lanci di monete da parte
della folla palermitana riunita di fronte alla
chiesa.
L’amarezza e la consapevolezza di aver perso
un valoroso generale, è un sottofondo muto di
tutto lo speciale. Le parole del figlio Nando
sono emblematiche:
“Una parte minoritaria di società politica e
dell’informazione si è mossa per aiutarlo. Ma
era il cuore del potere che non batteva più per
lui”.
Quella di Dalla chiesa rimane sicuramente una
memoria scomoda, a distanza di quasi trent’anni,
la stessa programmazione rai ne è una dimostrazione:
il dettagliato speciale viene mandato
in onda in TV a mezzanotte.
L’assassinio del generale Dalla Chiesa destò
molto scalpore, anche per le modalità “militari”
con cui fu eseguito. L’ultima parte dello speciale
è dedicata alla strage di Via Carini e alle
successive sentenze di condanna per gli esecutori.
L’8 marzo del 2003, la corte d’assise di
Palermo, presieduta da Cladio Dall’Acqua, ha
condannato all’ergastolo Giuseppe Lucchese e
Raffaele Ganci, capomafia del quartiere Noce.
Si è trattato del terzo processo celebrato per
questo delitto: i giudici avevano già condannato
all’ergastolo Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo
(sentenza divenuta definitiva nel 1995),
mentre Francesco Paolo Anzelmo e Calogero
Ganci hanno beneficiato di uno sconto di pena,
grazie alla loro collaborazione con la giustizia
(14 anni di reclusione per ciascuno).
memoria scomoda, a distanza di quasi trent’anni,
la stessa programmazione rai ne è una dimostrazione:
il dettagliato speciale viene mandato
in onda in TV a mezzanotte.
L’assassinio del generale Dalla Chiesa destò
molto scalpore, anche per le modalità “militari”
con cui fu eseguito. L’ultima parte dello speciale
è dedicata alla strage di Via Carini e alle
successive sentenze di condanna per gli esecutori.
L’8 marzo del 2003, la corte d’assise di
Palermo, presieduta da Cladio Dall’Acqua, ha
condannato all’ergastolo Giuseppe Lucchese e
Raffaele Ganci, capomafia del quartiere Noce.
Si è trattato del terzo processo celebrato per
questo delitto: i giudici avevano già condannato
all’ergastolo Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo
(sentenza divenuta definitiva nel 1995),
mentre Francesco Paolo Anzelmo e Calogero
Ganci hanno beneficiato di uno sconto di pena,
grazie alla loro collaborazione con la giustizia
(14 anni di reclusione per ciascuno).
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