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I buchi neri della seconda Repubblica

Lorenzo Frigerio il . Recensioni

Un vero e proprio depistaggio di Stato quello che ha riguardato le indagini e i processi per la strage di via D’Amelio.

È questa la terribile ipotesi che, con dovizia di particolari e di approfondimenti, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, giornalisti in prima linea nel raccontare le strategie di Cosa Nostra e oggi impegnati nell’avventura professionale de “Il Fatto Quotidiano”, avanzano nel loro ultimo libro “L’agenda nera della seconda Repubblica”, dove ricostruiscono i complessi avvenimenti che vanno dal 1992 ad oggi.

Viene così offerta al lettore, tanto all’esperto quanto al neofita, una vera e propria agenda della cosiddetta seconda Repubblica, bagnata al suo esordio dal sangue di valorosi magistrati e fedeli operatori delle forze dell’ordine e profondamente segnata dai compromessi che, dopo le recenti rivelazioni, attendono di essere provati in un’aula di tribunale.

La ricostruzione meticolosa parte dalla prima trattativa che venne avviata nel maggio del 1992, dopo la strage di Capaci, ad opera del Ros dei Carabinieri, in un momento di sbando totale per lo Stato: “Mai come in quei mesi – avrà modo di dichiarare Mario Mori, all’epoca colonnello – ebbi la sensazione di agire da solo, senza referenti certi a livello giudiziario. Invece di defilarmi e attendere che la bufera passasse, come molti fecero in quel periodo, ritenni preciso obbligo morale e professionale onorare la memoria di Falcone e Borsellino”.

Partono i colloqui tra gli esponenti dell’Arma e Vito Ciancimino, longa manus in politica di quei corleonesi che avevano scatenato l’inferno in Sicilia, dopo la conferma in Corte di Cassazione degli ergastoli comminati all’esito del maxiprocesso. Per i militari si tratta di “un’azione investigativa” volta alla cattura di pericolosi latitanti; al contrario Ciancimino e il figlio Massimo individuano nei colloqui una vera e propria trattativa.

In quelle settimane viene compilato il famigerato “papello” contenente le richieste di Cosa Nostra allo Stato. Secondo il killer di Capaci, Giovanni Brusca, si progetta allora l’assassinio del ministro democristiano Calogero Mannino, altro garante al pari di Salvo Lima del vecchio status quo, per convincere le istituzioni ad accettare le condizioni ritenute inaccettabili, ma qualcosa dall’esterno dell’organizzazione interviene per condizionarne le scelte. L’obiettivo allora diventa il procuratore Borsellino, spazzato via perché, molto verosimilmente, era un ostacolo insormontabile per il buon esito della trattativa.

Dopo la strage di via D’Amelio, le indagini prendono subito una direzione che, stando a quanto ci spiegano ancora una volta molto bene gli autori, è del tutto fuorviante. Un balordo del quartiere Guadagna diventa il fulcro dell’inchiesta: Vincenzo Scarantino viene accusato di avere rubato l’auto che poi diventerà l’autobomba di via D’Amelio.

Quello che viene ribattezzato “il Signor Nessuno”, in ragione della sola parentela con il boss Salvatore Profeta, diventa uno degli stragisti. È questo il primo passo del depistaggio.

I due giornalisti si chiedono come sia stato possibile prendere un abbaglio simile per investigatori di razza, su tutti il capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera. Fu la fretta di arrivare in fretta ad un risultato o fu invece un vero e proprio depistaggio, voluto e perseguito con arte?

Diventa difficile dare una risposta univoca anche se il libro ci regala una rivelazione importante, ripresa con enfasi anche dai quotidiani alla sua uscita: La Barbera era a libro paga del SISDE, il servizio segreto civile con il nome in codice “Ulisse”.

Assumono allora, secondo Lo Bianco e Rizza, una nuova luce i fatti immediatamente successivi all’individuazione di Scarantino come parte del commando stragista: dalla rimozione di La Barbera dal comando della Squadra mobile al suo successivo ritorno alla guida di un nucleo di investigatori scelto denominato “Falcone e Borsellino”; dal nuovo obiettivo della trattativa – la cattura di Totò Riina – alla scelta del CSM di applicare alla procura nissena “magistrati non palermitani, per nulla esperti di mafia” solo perché “emotivamente non coinvolti”…

In questo frangente confuso un ruolo centrale lo venne ad assumere proprio il gruppo guidato da La Barbera e i magistrati si affidarono alle loro conclusioni, verrebbe da dire a questo punto, in modo del tutto passivo.

La conferma verrebbe anche dalle scelte di Ilda Boccassini che, arrivata a Caltanissetta da Milano, arrivò a prendere apertamente le distanze dalla pista indicata da Scarantino, invitando il capo dell’ufficio a vigilare affinché i pm verbalizzassero i collaboratori “nel rispetto delle norme processuali”.

Sparisce la pista di Castello Utveggio, sede del SISDE e probabile luogo di appostamento per gli attentatori e nessuno sembra più interessarsi al livello dei mandanti che, al di fuori della cupola, avrebbero deviato l’obiettivo degli stragisti mafiosi da Mannino a Borsellino.

La ricostruzione dei due giornalisti prosegue con l’analisi di quanto avvenne nel 1993: i nuovi arresti dei presunti esecutori della strage di via D’Amelio; le bombe nel resto d’Italia volute dai corleonesi, in particolare dai Graviano; la nuova fase della trattativa in cui, secondo Massimo Ciancimino, il senatore Dell’Utri avrebbe preso il posto del padre; i cambiamenti nel mondo politico con la nascita di Forza Italia e la discesa in campo di Berlusconi.

È proprio nel 1994 che si formalizza la collaborazione di Scarantino, che sarebbe stata forzata e alimentata dai funzionari del gruppo “Falcone e Borsellino” ed è anche l’anno in cui la trattativa sembra andare definitivamente in porto: Riina è ormai in carcere, presto seguito dai suoi fedelissimi, Provenzano inaugura la nuova stagione di pax mafiosa, si inizia a parlare confusamente di dissociazione per alcuni capi mafia e molte pagine del libro si dilungano su questo aspetto inquietante; aumentano le pressioni per far abolire il carcere duro per i mafiosi. Con la vittoria di Forza Italia, secondo gli autori, prende il via una vera e propria “moratoria” che supera definitivamente il ricorso alla violenza stragista.

Nel libro si raccontano anche i numerosi ripensamenti di Scarantino fino al 1998, anno in cui, durante una udienza in aula a Como, arrivò perfino a ritrattare ufficialmente tutte le accuse poste alla base dei procedimenti nel frattempo istruiti a Caltanissetta. Al pm Nino Di Matteo, Scarantino arriva a dire: “Sono innocente. Se muoio, è per ordini superiori della Squadra mobile di Napoli o Palermo. Io non ho intenzione di ammazzarmi”.

Viene poi dato ampio risalto alle risultanze dei primi due processi su via D’Amelio – il cosiddetto Borsellino-uno e il Borsellinobis – che dopo sei gradi di giudizio hanno oggi valore di giudicato sancito dalla Corte di Cassazione.

Non pochi sono i buchi neri contenuti nelle ricostruzioni delle carte processuali – su tutti l’assenza sul luogo della strage del blocco motore della Fiat 126 stante alle immagini filmate da Rai e altre tv – e gli autori non esitano a ripercorre tutti i passaggi poco convincenti, fino ad arrivare alle nuove rivelazioni di Gaspare Spatuzza – una “bomba atomica” per Fini, “un petardo” per Dell’Utri – che oggi aprono clamorosamente le porte alla revisione dei giudicati processuali.

Questa però non è più storia, ma cronaca dei nostri giorni, compresa l’apertura di un’inchiesta volta a valutare l’entità e la ragione dei depistaggi, con l’iscrizione nel registro degli indagati di tre funzionari della Polizia di Stato, appartenenti a quel gruppo “Falcone e Borsellino” al quale fu dato ampio mandato. Furono irretiti dalle parole di Scarantino e guidati dalla rabbia e dall’ansia di vendetta? Oppure tradirono con consapevolezza, su mandato preciso?

Giunti al termine della lettura, possiamo condividere la conclusione dei due autori: “Bisogna andare avanti, dunque. Anche a costo di ammettere errori e leggerezze, da parte di poliziotti o magistrati, perché incarnano il fallimento di singoli uomini che hanno mal rappresentato le istituzioni, e non il fallimento delle intere istituzioni. Anche a costo di scoprire verità che non piacciono a nessuno”.

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza 
L’agenda nera della Seconda Repubblica
Chiarelettere, Milano 2010 
Pagg. 452, € 15,00

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