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Polsi: tra fede e ‘ndrangheta

Di Giorgio Mottola il . Calabria

Di Oppedisano e delle riunioni dei
boss al Santuario di Polsi, non sa e
non vuole saperne nulla. Antonio,
34 anni, da un mese ex disoccupato,
si è fatto 140 chilometri a piedi per essere
qui oggi alla festa della Madonna della Montagna.
È partito da San Roberto, piccolo paese
nelle vicinanze di Villa San Giovani, e ha attraversato
l’Aspromonte insieme a una quarantina
di persone. Un pellegrinaggio che è roba di altri
tempi. Da racconto di Corrado Alvaro. Ma da
tutta la provincia di Reggio
e da molto più lontano, anche quest’anno in
migliaia sono partiti. Sono quasi tutti ex voto.
Compreso Antonio: «Sono venuto a ringraziare
la Madonna. Dopo dieci anni mi ha fatto finalmente
trovare un lavoro». 

Al telefono la sua
voce si sente a mala pena, è coperta dai tamburelli
dei fedeli, che nelle strade intorno al santuario
ballano tarantelle “votive”. Antonio non
ne sa e non vuole saperne nulla, ma nelle stesse
ore, un anno fa, mentre la gente recitava a voce
alta le stesse preghiere, a Polsi, venivano votati
dai boss i vertici della ‘ndrangheta.
A luglio sono scattati gli arresti. Le procure di
Reggio e Milano hanno condotto insieme l’inchiesta
denominata “Crimine”, che ha portato
in carcere oltre 300 persone tra la Calabria e la
Lombardia. Nell’ambito dell’operazione è stata
per la prima volta documentata in modo estremamente
particolareggiato la riunione annuale
dei capi delle ‘ndrine, che da oltre cinquant’anni
si tiene a Polsi, nei giorni della Madonna della
Montagna. I boss cominciano a vedersi nella
piccola frazione del Comune di San Luca a fine
agosto. Lo scorso anno, i primi incontri erano
avvenuti a partire dal 19 agosto. È in quella
data che i referenti dei locali calabresi hanno
scelto il nome di Domenico Oppedisano, boss
di Rosarno, quale capo del Crimine, e rinnovato
per intero i componenti della struttura criminale
di cui la ‘ndrangheta si è dotata alla fine dell’ultima
faida, quella tra i Condello e i De Stefano
in cui morirono oltre 600 uomini delle ‘ndrine,
per sovrintendere al rispetto delle regole e impedire
dilaniazioni interne. 
Le nuove cariche al
vertice dell’organizzazione entrano in vigore a
partire dal mezzogiorno del 2 settembre, quando
la statua della Madonna fa il suo rientro in
chiesa e, dunque, termina la liturgia. Lo scorso
anno, come hanno documentato gli inquirenti,
gli incontri avvennero a Polsi per tutto il giorno
e tutta la notte tra l’1 e il 2 settembre. La
piccola frazione del comune di San Luca era
piena di ‘ndranghetisti che si nascondevano
tra le migliaia di fedeli. I boss non avvertivano
nemmeno la necessità di scegliersi dei luoghi
appartati. Facevano tutto in pubblico. Nei bar e
persino nei chioschi delle statuette e dei gadget
religiosi.
Per il modo in cui la concepisce la ‘ndrangheta,
la sovrapposizione tra rito criminale e cerimonia
religiosa è quindi totale. Per i calabresi
devoti, quella di Polsi è la ricorrenza più importante
dell’anno. E la più popolare. La religiosità
si confonde infatti con il folklore e con
la superstizione.
Più volte dalla diocesi di Locri sono venuti
inviti ai fedeli a manifestare la propria fede in
forme più convenzionali, meno «atee», come le
definì qualche anno la Curia. é anche su questo
terreno
che la ‘ndrangheta costruisce la propria forza.
«La dinamica – spiega Isaia Sales, che di
recente ha pubblicato un saggio dal titolo “I
preti e i mafiosi” – è la stessa anche per cosa
nostra e camorra.
 I mafiosi utilizzano i riferimenti
alla liturgia per ammantare di sacralità
le proprie azioni criminose. E spesso ciò accade
con l’avallo uomini della chiesa. In fondo è
nel presupposto stesso della teologia cattolica
il giudizio di clemenza che viene dato alla figura
del peccatore». Ed è patrimonio comune
delle mafie meridionali anche il culto mariano.
Prosegue infatti Sales: «Non abbiamo notizia
di eventi come le riunioni della ‘ndrangheta al
santuario Polsi, ma non è casuale la centralità
della figura della Madonna della Montagna. In
Campania i camorristi sono particolarmente devoti
alle varie Madonne nere e a quella di Montevergine.
In Sicilia oltre alla Madonna, è forte
anche il culto di sante come Rosalia. Il riferimento
a figure femminili sacre indica il tentativo
dei mafiosi di legittimarsi nell’immaginario
popolare come buoni figli».
Dopo la scoperta dell’elezione del boss Oppedisano
a Polsi, qualcosa nella chiesa calabrese
sta cambiando. Nella sua omelia di stamattina
al santurio, il vescovo di Locri Giuseppe Fiorini
Morosini, ha ripetuto le parole già pronunciate
a luglio: «Se i mafiosi vengono qui con l’illusione
di poter dare un significato religioso alle loro
attività illegali, che nulla hanno da condividere
con la nostra fede cristiana. 
I nostri cammini
non si congiungono a Polsi, se mai si dividono
ancora di più, si distanziano maggiormente,
anche se in noi credenti rimane la nostalgia di
avere anche voi come fratelli di fede». Parole
che fanno ben sperare Mimmo Nasone, responsabile
di Libera in Calabria: «I mafiosi fanno
bene il loro lavoro, sono i cristiani che sinora
non lo hanno fatto». Ma a don Pino Strangio,
da 12 anni parroco di San Luca, non piace che
si faccia confusione: «Questa è solo la festa della
fede». E la ‘ndrangheta? «Non c’entra nulla
– è la sua risposta – lascio questi argomenti a
chi vuole rompersi la testa». E guai a chiedergli
se si è mai accorto che a Polsi si tenevano
gli incontri dei boss: «Questa è una domanda
provocatoria a cui non ho alcuna intenzione di
rispondere», è la risposta di don Strangio che è
anche il presidente del San Luca calcio, scesa
in campo a marzo con il lutto al braccio per la
morte del boss Antonio Pelle.

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