Quando l’odio ha bisogno di un nemico
La verità è che Hamas e Netanyahu si nutrono a vicenda. Per esistere hanno bisogno l’uno dell’altro.
L’odio, per esistere e rafforzarsi, ha sempre necessità di un nemico capace di odiare almeno quanto lui. Le politiche oppressive dei governi israeliani contro la prigione a cielo aperto di Gaza costituiscono il carburante per il reclutamento massiccio di terroristi e le azioni di questi sono il tesoretto del pacchetto elettorale di Netanyahu.
E in queste condizioni è inutile esercizio puerile chiedersi chi ha cominciato per primo, puntare il dito, distribuire patenti di carnefici. Sembra che ciascuno non vedesse l’ora. Tragico è che tanto Hamas quanto Netanyahu rendono il peggiore dei propri servizi ai rispettivi popoli. Riescono a garantire solo paura, sofferenza, lutti e distruzioni. E sia ben chiaro che queste considerazioni non sono dettate dall’opportunità diplomatica politicamente corretta di equidistanza, quanto da una vicinanza assoluta alle popolazioni israeliana e palestinese.
Per quanto possa sembrare tragico, in questi giorni si sta seminando la brutalità che si consumerà domani. La speranza è sempre che qualcuno riesca a trovare il coraggio di rinunciare alla violenza della rappresaglia, della vendetta, della violenza sorprendendo il suo dirimpettaio e sparigliando le carte.
La spirale
Il conflitto israelo-palestinese è la prova più longeva della storia che la guerra non produce alcuna soluzione.
La violenza del terrorismo e della guerra serve soltanto a prolungare le sofferenze. Come ripete Francesco: “La guerra è una sconfitta. Ogni guerra è una sconfitta!”. Per questa ragione invocare la strada della vendetta e imboccarla da parte di Israele è la scelta peggiore.
È un tragico film che abbiamo visto troppe volte in tutti questi anni e, se siamo a questo punto, è proprio perché le altre soluzioni diplomatiche sono sempre state percorse senza troppa convinzione non solo dalle due parti ma anche dalla comunità internazionale.
Almeno per questo calcolo geostrategico, se non per ragioni etiche, dovremmo essere in grado di mettere in campo ogni sforzo per non restare ancora una volta stritolati nella spirale della violenza. Persino il terrorismo di Hamas che è da condannare senza alcuna riserva, resterebbe spiazzato da una risposta più alta che non sia la vendetta. Fallirebbe proprio il primo dei suoi obiettivi che è quello di trascinare tutti in una violenza sanguinaria ancora peggiore di quelle già sperimentate.
Per questo, se è sbagliata l’assistenza militare dell’Iran ai terroristi, lo è altrettanto quella di Usa e di ogni altro governo che per prima cosa hanno assicurato al governo d’Israele di trasferire nuovi armamenti. La soluzione non è nella distruzione e nella morte. Ce lo chiedono le vittime.
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