Chiara Colosimo lo aveva annunciato che la strage di Via d’Amelio ed in particolare i 57 giorni intercorsi tra le due stragi del 1992, sarebbero stati il punto cruciale del suo mandato e oggi ha fatto la sua prima (anzi seconda) mossa, invitando la figlia Lucia ed il marito, avvocato Trizzino.
Se la traiettoria imboccata con questa audizione verrà mantenuta e approfondita in ogni aspetto, credo che alla presidente Colosimo non resterà che sperare nelle elezioni anticipate o nella invasione degli extraterrestri (gli extracomunitari al massimo faranno cadere il governo).
La ricostruzione commossa e ricchissima di elementi proposta alla Commissione dall’avv. Trizzino ha ripercorso la storia, partendo dalla caduta del Muro di Berlino fino ai giorni nostri, in uno sforzo sacrosanto di contestualizzazione e ricapitolazione.
L’avv. Trizzino ha esposto in maniera chiara la tesi che intende sottoporre alla Commissione parlamentare: la strage di via D’Amelio ha avuto una funzione preventiva, quella cioè di impedire a Paolo Borsellino di andare avanti nel lavoro investigativo che lo avrebbe sicuramente portato a scoperchiare il pentolone dei rapporti altolocati tra grandi imprese nazionali e politica. Borsellino doveva morire così come doveva morire Di Pietro.
Il grimaldello che avrebbe consentito a Borsellino di arrivare all’obiettivo sarebbe stato senza alcun dubbio il rapporto “mafia-appalti” che il Ros aveva elaborato e messo a disposizione della magistratura fin dal 1991. I nemici di Borsellino e del Ros vanno sicuramente cercati, oltre che in Cosa Nostra (Riina, ha ricordato Trizzino, nutriva per Borsellino un odio ancora più antico di quello riservato a Falcone), nel sistema partitico-imprenditoriale che aveva calpestato ogni legalità con disprezzo della sovranità popolare, arricchendosi alle spalle del contribuente e che ora vedeva minacciato in maniera mortale il proprio potere.
La più infame e pericolosa cinghia di trasmissione tra la volontà dei mafiosi e quella del sistema “mafia e appalti” va indubbiamente ricercata in quel pezzo di magistratura collusa che agì ora piegando direttamente la funzione giurisdizionale ai voleri del sistema, ora isolando, umiliando e delegittimando i magistrati con la schiena diritta come appunto Paolo Borsellino.
Tanto grave il ruolo dei “giuda” nella magistratura da far dire a Borsellino che il Tribunale di Palermo era un “nido di vipere” e da far confidare alla moglie Agnese: quando mi uccideranno, forse saranno i mafiosi a farlo, ma a volerlo saranno stati i miei colleghi ed altri.
Nel suo intervento, Trizzino parla dell’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco, dicendo che certe “dinamiche resero di fatto impossibile la vita di Borsellino. La cosa gravissima è che Giammanco non è mai stato sentito nell’ambito dei procedimenti per strage”.
Come un mantra, durante l’audizione, l’avv. Trizzino evoca il rapporto “mafia e appalti” frutto del lavoro del ROS ed in particolare di tre uomini e cioè Subranni, Mori e De Donno. Questi uomini, pare suggerire l’avv. Trizzino, avevano già intuito quasi tutto del “sistema” e seppure il rapporto avesse delle imperfezioni, sarebbe stato un viatico decisivo come lo era stata la bustarella del “mariulo” Chiesa, che avrebbe condotto i pm di Mani Pulite fino alla madre di tutte le tangenti.
Ed è proprio l’insistenza dell’avv. Trizzino sul rapporto “mafia ed appalti” che finisce col far tornare alla mente la prima mossa della Presidente Colosimo appena insediata a Palazzo San Macuto e cioè l’incontro riservato proprio con il prefetto Mori, che ormai libero da ogni fardello giudiziario non fa mistero di volersi togliere più di un sassolino dalle scarpe.
Saverio Lodato ha recentemente raccontato in un articolo pubblicato da AntimafiaDuemila che Mori, intervenendo ad una iniziativa in Umbria, avrebbe affermato che tra la strage di Capaci e di Via D’Amelio sarebbero successe cose agghiaccianti (quali?), che il rapporto “mafia e appalti” è la chiave di tutto e che si mantiene in forma camminando 4/5 km al giorno perché vuole vedere morire prima tutti quelli che lo hanno infangato in questi anni. Legittimo, per carità.
C’è un’altra cosa che l’avv. Trizzino sa e che oggi almeno non ha ancora detto (l’audizione si è conclusa per sfinimento dopo oltre due ore) e cioè che l’altra confessione dirompente che Paolo Borsellino affidò ad Agnese con grande sofferenza riguardava proprio il generale Subranni. Basterà alla Colosimo aver portato a casa che l’unica forza politica allora esclusa dal “tavolino” fosse il Movimento Sociale Italiano? Si è aperta una partita molto delicata oggi che ha per sfondo dolore e coraggio reali (di Paolo Borsellino e dei suoi famigliari), ma che rischia di risolversi in una domanda: chi sta usando chi?
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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