NEWS

Ciao Gino

Lorenzo Baldo il . Diritti, Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Muore il padre di Attilio Manca, una vita a cercare giustizia assieme a sua moglie e a suo figlio.

“Sono qui con te, papà, stai tranquillo. Dammi la tua mano, ti accompagno io…”.

“Attilio… sei venuto finalmente… abbracciami…”. 

L’immagine è sfocata, la luce della abat-jour della camera da letto di Gino è flebile. Ma è come se quell’abbraccio atteso da tanti anni andasse oltre il tempo e lo spazio.

Angelina è segnata da questi lunghi anni di malattia di suo marito, prostrata da questi ultimi mesi, settimane, giorni. Interminabili nel loro scandire un tempo fatto di sofferenza. Attilio entra in quella stanza come in un rallenty, guarda dolcemente negli occhi sua madre. Che non lo vede, ma sente forte la sua presenza. “Attilio… figlio mio…”. “Mamma…”. È un attimo. Gino e Attilio escono dalla stanza, un padre e un figlio che si ritrovano. Per un istante anche Luca, il fratello minore, viene sfiorato da quella presenza. Che si dissolve in un battito d’ali.

Ho immaginato così la dipartita di Gino Manca, con un senso di tristezza e di gioia nel cuore. Tristezza perché Gino è stato un secondo padre per me, e se ripenso ai giorni vissuti assieme provo un senso di vuoto. Ma anche di gioia pensando che Attilio possa essere venuto per accompagnarlo in questo ultimo viaggio.

Finalmente la sua devastante sofferenza nel corpo e nell’anima ha avuto fine, purtroppo però Gino non è riuscito ad avere giustizia in questo disgraziato Paese. Che l’ha ostentatamente negata a tutta la sua famiglia fino a questo momento. La sua battaglia, come quella di Angelina e Luca, diviene adesso ancora di più una richiesta pressante di verità, in una lotta contro il tempo.

Ti ho voluto bene, Gino, tanto. Mi sono specchiato nel dolore sordo dei tuoi occhi, lì ho ritrovato il dolore antico di ogni padre che perde un figlio.

Quel filo spezzato che oggi finalmente hai riannodato con l’amore che ti era stato tolto e che non riusciva a trovare le parole. Ma quelle parole non dette erano proprio i tuoi occhi a farle arrivare al mio cuore.

Grazie Gino, per la tua pretesa di giustizia avvolta di dignità. Te ne vai con il tuo volto onesto, e lasci questo mondo di maschere. Mancheranno le tue premurose attenzioni, il tuo sorriso, la tua bontà d’animo.

Ma ora vai, proteggi Angelina, dalle la forza per continuare, proteggi Luca nelle battaglie che farà, e veglia su tutti coloro che continueranno a lottare per Attilio.

Ciao Gino, vola libero.

P.s. Ho voluto riprendere alcuni passaggi tratti dal mio libro su Attilio Manca per ricordare la bellezza profonda di quest’uomo mite che non si è mai arreso. LB

Capitolo VIII – Barcellona *

Arrivo a Barcellona Pozzo di Gotto con il treno delle 18:00. Alla stazione c’è Gino che è venuto a prendermi. Il suo affetto è disarmante, così come le sue attenzioni: mi ricorda mio padre. Mentre lo abbraccio sento forte il suo dolore – ammantato di profonda dignità – causato dall’assenza di un figlio adorato.

In macchina, durante il tragitto verso casa, parliamo subito di Attilio e della lentezza incredibile delle indagini. Gino è alquanto disilluso, osserva il mondo fuori dal parabrezza come se fosse lontano, tanto lontano. Guardando i suoi occhi mi torna in mente una vecchia canzone di Claudio Baglioni che parlava di “occhi annacquati dalla pioggia della vita”. Quella pioggia ha infierito su di lui e sulla sua famiglia come un violento temporale, lasciando dietro di sé macerie e solchi profondi.

In pochi minuti arriviamo in via Spagnolo, Angelina mi attende sulla porta di casa, dietro di lei c’è Argo, il minuscolo chihuahua che continua ad abbaiare. Il sorriso premuroso di questa donna mi fa sentire subito a casa. Appoggio la valigia nella camera di Attilio dove passerò la notte. In quella stanza ogni cosa parla di lui. I suoi libri, i suoi Cd, e poi ancora le sue fotografie, tante, appese alle pareti, o appoggiate sulla libreria.

Mi siedo sul letto, in silenzio, mentre mille pensieri scorrono veloci. Tiro fuori il registratore e mi preparo a intraprendere un viaggio a ritroso nella vita di Attilio e dei suoi familiari.

Gino

Non è facile dover far rivivere sentimenti ed emozioni, racchiusi nei ricordi di una vita, a chi porta segnato nel proprio corpo e nella propria anima, come un marchio indelebile, la sintesi di un dolore senza rimedio.

L’umiltà di questo padre è disarmante. L’inseparabile Argo gli si accovaccia in grembo, Gino sorride e lascia che la diga che contiene il lago formato dalle gocce della sua memoria si apra  completamente.

«Ho un ricordo immenso, indimenticabile del rapporto che c’era tra me e Attilio. Anche se parlavamo poco ci capivamo con uno sguardo. Quello di Attilio era profondo e soprattutto luminoso, indimenticabile. Non potevo negargli quello che mi chiedeva.  Negare qualcosa a una persona che si ama è impossibile. Una volta, Attilio aveva da poco comprato una moto 600,  mi disse di salire, ma io non volevo perchè mi sembrava ridicolo che un vecchio potesse andare sulla moto. Attilio insisteva: “sali papà, che ci facciamo un giretto”, e mi ha portato a 20 km di distanza da Barcellona, in montagna. Una volta arrivati ha iniziato a fotografare un pastore con il suo gregge avvolto nella nebbia. Ricordo il contrasto tra il nero del mantello del pastore e il bianco della nebbia. Altre volte ci portava al mare, a me e ad Angelina, perchè a lui piaceva moltissimo stare sulla spiaggia, e ci diceva: “se non ci fossi io questi luoghi non li vedreste mai”. Attilio era sempre accanto a noi, come lo è ancora oggi. Ricordo che quando si trasferì per un anno a Parigi, per una specializzazione sulle tecniche mediche di cura del tumore alla prostata per via laparoscopica, ci disse di andare a trovarlo. E così fu. Attilio andava presto al lavoro all’ospedale e tornava a casa tardissimo, si buttava sul letto e spesso si addormentava. Io gli dicevo: “Ma perchè devi stare così a lungo?”, e lui mi rispondeva: “Papà più interventi vedo, più pratico divento”. Attilio era molto umile, aveva un occhio di riguardo anche per le persone più semplici. C’è una fotografia dove lo si vede abbracciato con un’anziana inserviente di colore della casa dove andava a mangiare. Mio figlio sapeva dialogare con tutti: sia con le persone umili, che con quelle colte e trovava sempre il modo per entrare in simpatia con le persone. Una volta in montagna, a Montalbano (vicino a Messina), Attilio si mise a parlare con dei contadini che intrecciavano delle cipolle del loro lavoro e con altri che sgranavano il granturco. Poi li fotografò. Quando Attilio se ne stava per andare via gli regalavano vino, ricotta… Anni dopo una sua amica ci disse che Attilio aveva scritto circa 50 pagine di un romanzo autobiografico, ma noi non abbiamo mai trovato niente, il suo computer è stato sequestrato dalla Polizia e non ci è stato ancora restituito».

Lo sguardo di Gino si perde nella stanza di Attilio, là dove tante volte era entrato per salutarlo al mattino scavalcando pile di libri sparsi per terra.

«Credo che la sensibilità sia innata, non si può conquistare, si nasce così oppure no. Oltre alla sensibilità, Attilio dimostrava nei nostri confronti protezione, ci diceva: “Papà, mamma, non vi dovete preoccupare, a voi ci penserò io”. E invece, aldilà di Luca, non ci sarà nessuno che ci potrà seguire. Ma è proprio la sua sensibilità che lo ha portato alla distruzione, perchè credeva immensamente nel valore dell’amicizia. Ma era unilaterale, quelli che lui reputava amici dopo la sua morte non si sono fatti più sentire. Addirittura, quelli che lui credeva essere i migliori amici, l’hanno tradito. Questo senso di amicizia lo ritroviamo nella storia, nella leggenda, e sopratutto nella religione. Nella storia quando Bruto tradisce Giulio Cesare, nella leggenda quando Gano di Magonza tradisce Carlo Magno e nella religione abbiamo due esempi forti: Giuda che tradisce Gesù, Lucifero che tradisce lo stesso Dio, Caino e Abele. Quella di Attilio è una tragedia che si aggiunge a tutte queste…».
Una tragedia che Gino rivive dall’istante in cui gli è stato detto che suo figlio era morto.

«Quel momento è stato indescrivibile e indimenticabile. Quando un padre viene a sapere che un figlio è venuto a mancare è la cosa più tremenda che possa accadere. Un genitore non può mai superare la morte di un figlio. Possono passare anni, secoli, ma è una piaga enorme che continua a sanguinare. Dal momento in cui Attilio è morto mi è mancata la sua protezione. Con lui io non ero il padre, ma il figlio: i ruoli erano invertiti. Io credevo immensamente in lui. Oggi di Attilio mi manca tutto. Attorno a me c’è il vuoto, non ho più nessun piacere e interesse. Prima amavo andare al cinema, a teatro, mi piaceva scrivere piccoli racconti tratti da miei ricordi del passato. Adesso anche se guardo la tv dopo un po’ mi distraggo, basta un nonnulla che la mente torna ai ricordi legati ad Attilio… l’unica passione che mi è rimasta è quella di scrivere di Attilio: mettere assieme quei pensieri per ricordare chi era mio figlio, il suo grande trasporto, la sua grande intelligenza… A 17 anni Attilio sapeva tradurre dal greco e dal latino senza vocabolario, leggeva speditamente in lingua originale le opere di scrittori greci e latini. I professori dicevano che non avevano mai avuto un alunno simile. E’ stato il primo ad operare a soli 30 anni il tumore alla prostata per via laparoscopica, ricordo che lo chiamavano negli ospedali di altre città come Bologna, Ravenna, Ferrara e lui stesso si meravigliava per come veniva accolto. Attilio mi è sempre accanto, non c’è un momento della giornata nel quale non lo sento vicino….».

Con una mano Gino si copre gli occhi, gli argini della diga aperta poco prima ormai non esistono più. Dolore, amarezza, e soprattutto quella netta sensazione di non avere il tempo per ottenere giustizia.

«La Procura di Viterbo non ha tenuto conto delle nostre opposizioni alle loro richieste di archiviazione… non ci hanno mai sentiti, e questo è già abbastanza grave… un Procuratore corretto dovrebbe interrogare prima di tutto i familiari di colui che è morto. Invece la Procura di Viterbo non solo non ha interrogato le persone che noi avevamo segnalato, ma ci ha anche estromessi dal processo, che delusione! Durante la conferenza stampa del Procuratore Pazienti e del suo sostituto Petroselli ci siamo sentiti presi in giro. Una volta un prete mi disse: “penso che stiano meglio le madri degli assassini perchè hanno la speranza di rivedere il proprio figlio invece voi non vedrete più il vostro anche se è stato onesto”, queste parole mi hanno trafitto il cuore un’altra volta. E’ una cosa incomprensibile. Io non riuscirei mai a sopportare la vista di un figlio assassino in vita… meglio morto ma onesto. Ormai ho 81 anni e conosco la lungaggine dei processi in Italia: quello per la strage di via D’Amelio, così come per le indagini sull’omicidio Agostino (sono trascorsi 25 anni e quello è un delitto di mafia…). La mia più grande sconfitta è quella di non poter avere la verità giudiziaria. Il caso di Attilio viene considerato dalla Procura di Viterbo una morte per overdose; la verità “storica” noi la conosciamo e la conoscono tutti, ma io vorrei conoscere quella giudiziaria. Quanti anni devono trascorrere ancora?».

La consapevolezza del tempo che corre inesorabile mentre l’attesa della verità si prolunga a oltranza consuma lentamente questo anziano padre. Che troppo spesso non riesce a vivere la benchè minima quotidianità.

«Ho avuto una doppia tragedia: quella della morte di Attilio che è immensa, e il sospetto che in quella morte potrebbero essere coinvolti membri della mia stessa famiglia. Questo non posso ancora stabilirlo, perchè non c’è un processo, però il dubbio mi rimane e questo mi tormenta…».

Un tormento interiore che Gino conosce fin troppo bene, che rimane latente e che si manifesta soprattutto nei suoi momenti di solitudine.

«So che non sono il solo ad essere stato colpito da una simile tragedia, tanti altri anche nell’antichità hanno vissuto un dramma analogo. Io sono un credente e al di là di essere cristiano, mussulmano o buddista credo in questo essere soprannaturale. Ma non posso immaginare che il mio Dio mi possa colpire atrocemente. Un Dio non colpisce, come un padre non può colpire il figlio in modo cruento. Come ha scritto Sofocle, Elettra ha conosciuto chi le aveva ucciso il padre e si è vendicata. Ma io non voglio vendetta: soltanto giustizia e verità. Spesso mi sono chiesto perché il dolore di un padre passa in secondo piano. Sin dall’antichità l’uomo è sempre stato considerato forte, colui che doveva e deve quasi nascondere i propri sentimenti. Non parliamo mai del dolore di Giuseppe, parliamo piuttosto di quello di Maria quando Gesù non si trovava più. Io non riuscivo e non riesco tuttora a parlare in pubblico. Se parlo di Attilio mi commuovo e mi vergogno a mostrarmi così. Mi sono chiuso nel mio dolore. La perdita di un figlio è qualcosa di indescrivibile, non si può mai immaginare. Si dice che il tempo lenisce il dolore, e invece dico che il tempo acuisce il dolore. Man mano che passano gli anni i ricordi quasi svaniscono in una nebbia, la nebbia che avvolgeva il pastore che Attilio aveva fotografato… quella nebbia avvolge i ricordi, le immagini e la voce. Ti vengono a mancare, e il dolore aumenta, perchè tu vorresti ricordare, ma ricordi solo immagini, non hai più il corpo da vedere o da ricordare… Tutto questo aumenta il dolore e a volte non mi fa dormire».

Tra i tanti pensieri di Gino c’è anche quello che il proprio figlio sia finito stritolato all’interno di quel “patto” tra mafia e Stato.

«Credo che la vicenda di Attilio rientri nella trattativa. Lui poteva benissimo continuare a vivere e fare il medico della mafia, ma come aveva scritto lui stesso in un testo, non poteva sottostare ai compromessi. Lontani anni luce da lui. E se la morte di Attilio rientra nella trattativa è difficilissimo che emerga la verità. Prima dovranno morire tutte quelle persone che proteggevano la latitanza di Provenzano. Come fa un uomo ad essere latitante per oltre 40 anni se non c’è qualcuno che lo protegge? Lo stesso Matteo Messina Denaro: perchè non lo trovano? Perchè ci sono questi compromessi tra mafia e politica. Perchè non lo si vuole trovare!».

Il piccolo Argo si è addormentato sulle ginocchia di Gino, il suo padrone lo accarezza amorevolmente mentre il suo respiro si fa più lungo.

«Se potessi parlare con Attilio gli direi che avrebbe dovuto dire a noi genitori quello che gli stava accadendo. Il suo senso di protezione era talmente alto che non voleva addolorarci rivelando in quale situazione si trovasse. Oggi gli direi: “hai fatto male”, perchè anche i più umili genitori sanno consigliare bene i propri figli. “Perchè non ci hai coinvolto, Attilio? Perchè non hai rivelato quello che sapevi al prof. Ronzoni o al tuo amico e collega Fattorini?”. Credo che lo abbiano minacciato al punto di dirgli che se avesse parlato sarebbero stati colpiti i familiari, gli amici, i parenti più cari che lui amava. E per questo non ha parlato. Oggi non mi dò pace: penso che lui ne abbia parlato ai falsi amici…».

* Tratto dal libro “La mafia ordina Suicidate Attilio Manca”

Tutta la redazione di ANTIMAFIADuemila esprime sincere e profonde condoglianze ad Angela Gentile, Luca Manca e alla famiglia di Attilio Manca

Fonte: AntimafiaDuemila, 19/08/2023

*****

https://www.liberainformazione.org/2016/11/18/suicidate-attilio-manca/

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link