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Operazione Pettirosso

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Duro colpo
ai Bellocco di Rosarno, una dell ‘ndrine più potenti e pericolose
operanti nella Piana di Gioia Tauro. I carabinieri, su mandato della
Dda di Reggio Calabria, hanno eseguito otto arresti, sequestrato 13
fabbricati, 67 terreni agricoli, per un valore di circa 10 milioni di
euro. Smantellando la rete che ha permesso e garantito la latitanza
dei principali boss della cosca: Gregario e Giuseppe Bellocco, e dei
loro uomini di fiducia, Carmelo Lamari e Giuseppe D’Agostino. Nel corso
dell’operazione sono stati individuati, e sequestrati, 14 bunker sotterranei
dove ai boss venivano assicurati confort e sicurezza nella latitanza.
Agli arrestati sono stati contestati i reati di associazione mafiosa,
favoreggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco. 

«Abbiamo catturato
otto soggetti rilevanti per il controllo del territorio di Rosarno e
della Piana di Gioia Tauro – commenta Michele Prestipino, Procuratore
aggiunto della Dda di Reggio Calabria – funzionali a garantire la
presenza e le attività dei Bellocco durante la latitanza». Persone,
quindi, inserite nelle attività criminali della famiglia «per questo
– aggiunge Prestipino – nei loro confronti abbiamo contestato il
reato di associazione mafiosa e non solo quello di favoreggiamento».

«E’ un’operazione
– sottolinea Giuseppe Pignatone, procuratore capo della Dda di Reggio
– che sottolinea l’epilogo dell’indagine che tra il 2005 e il 2007
ha portato alla cattura dei latitanti Gregorio e Giuseppe Bellocco e
di altri numerosi esponenti della stessa cosca».  

Nel corso dell’anno
altri arresti hanno colpito la cosca rosarnese. Nel febbraio 2010 a
finire in manette a Roma, mentre in un ristorantino guardava la partita
Juventus – Lazio, è stato Domenico, reggente della cosca dopo gli
arresti che hanno decimato la leadership della famiglia. Che Domenico
Bellocco, conosciuto come “Micu u longu”, fosse capo riconosciuto
dei Bellocco viene fuori da alcune intercettazioni in carcere. Arrestato
nel corso di una precedente operazione antimafia, “Micu” viene intercettato
durante un colloquio con il fratello Antonio. «Solo tu ci sei libero,
basta che non ti arrestano pure a te. Io di te ho bisogno adesso».
Un’investitura nei confronti del fratello: «Antonio solo quello che
dico io devi dire, di parole né di più, né di meno». 

La sorte di
Antonio non è stata diversa rispetto a quella di Micu. Arrestato
a gennaio durante i “disordini” di Rosarno mentre con la sua
auto cercava di investire uno dei migranti presenti in città, è stato
raggiunto in carcere da un’ordinanza di custodia cautelare nel corso
di un’operazione gestita dalla Squadra Mobile di Bologna e coordinata
dalla Procura di Reggio Calabria.  

Antonio Bellocco,
infatti, si era trasferito lo scorso anno a Granarolo, per aiutare lo
zio Carmelo a gestire gli interessi della famiglia nell’avamposto emiliano.
Droga, riciclaggio di denaro, infiltrazione negli appalti e predominio
nel territorio, tenendo alla larga, anche con l’uso della forza, 
le cosche rivali. Proprio per sventare una guerra di ‘ndrangheta, dovuta
alle mire espansionistiche della rivale famiglia Amato, finirono in
carcere Carmelo Bellocco, la moglie Maria Teresa D’Agostino e i figli
Domenico e Umberto. Gli inquirenti, servendosi di una cimice nell’abitazione
di Carmelo Bellocco a Granarolo, spiarono un “consiglio di guerra”.
«Rosarno è nostra – si sente nelle intercettazioni – a questo
punto ce la vediamo noi, siamo capaci di intapparne fino a cento al
giorno». Intapparne, ucciderne cioè, fino a cento al giorno.  

Con l’operazione
di ieri si spera che la capacità sia militare che logistica dei
Bellocco sia stata quantomeno ridimensionata. L’azione della Dda di
Reggio Calabria conferma, con le numerose operazioni sia in Calabria
che nel centro e nord Italia, che l’attenzione investigativa nei confronti
della ‘ndrangheta è sempre molto alta. Bisogna capire se esiste una
volontà anche politica, e non solo in Calabria, per perseverare su
questa strada.

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