Il fisco alla rovescia
A che cosa serve il fisco? A raccogliere le risorse (infatti si chiama “Agenzia delle Entrate”) per poter effettuare le spese indicate nel bilancio dello Stato. Ne consegue che il sistema tributario dovrebbe essere strutturato in modo tale da finanziare le uscite previste.
In questi giorni il Parlamento sta approvando la legge delega fiscale, che definisce le linee guida generali e attribuisce al Governo la facoltà di delineare le norme di dettaglio con successivi decreti legislativi.
La legge delega prevede una modifica della tassazione (diretta e indiretta) e alcuni interventi sull’accertamento, sulla riscossione, sulle sanzioni e sul contenzioso tributario. Alcune misure sono assai discutibili, a partire dalla “revisione e graduale riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”. In particolare si prevede la diminuzione (da 4 a 3) delle aliquote IRPEF per gli scaglioni di reddito “nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica” (la cosiddetta flat tax).
Anzitutto fa un certo effetto vedere una riforma fiscale che si pone l’obiettivo di una tassazione con una percentuale uguale per tutti, ricchi o poveri che siano, sapendo che la progressività è un criterio espressamente indicato nella Carta Costituzionale.
Anche tralasciando di entrare nel merito della riforma, in attesa dei decreti attuativi, c’è un’evidente lacuna strutturale che tutti gli osservatori segnalano: non sono indicate le coperture economiche. In altre parole si prevede una riduzione delle imposte, ma ciò implica necessariamente una diminuzione delle entrate e un probabile buco nel bilancio statale, che dovrà essere colmato con altre risorse al momento non precisate.
In realtà, ciò che appare assolutamente contraddittorio è il modo in cui viene concepito il sistema tributario. Le imposte dovrebbero essere calibrate sulle necessità di spesa di una collettività. Pertanto le tasse si possono diminuire o aumentare in relazione a quanto si decide di spendere. Non ha alcun senso partire dal pregiudizio della diminuzione delle entrate, per poi dover trovare le risorse (con nuove tasse o ulteriori tagli di spesa) per compensare la riduzione prestabilita delle tasse.
Tanto per fare un paragone, sarebbe come se un’azienda decidesse a priori di ridurre i ricavi, affermando che in seguito valuterà come proseguire la propria l’attività. Se un’azienda rischia di fallire è un danno per molti (proprietari e soprattutto dipendenti), ma nel nostro caso la preoccupazione è maggiore, poiché si tratta del sistema statale, che finanzia la pubblica sanità, scuola, sicurezza, ecc.
Il sistema tributario italiano andrebbe profondamente cambiato, ma nella direzione opposta, cioè per garantire risorse adeguate a realizzare i principi e i diritti costituzionali. Le imposte infatti trovano fondamento in questa prospettiva, altrimenti sono soltanto oggetto di propaganda, dove prevale chi promette maggiori tagli. Il che contribuisce a spiegare perché l’Italia abbia accumulato il debito pubblico più alto d’Europa.
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