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Città d’arte. La carica del turismo di massa: il temibile ingorgo di trolley, zaini e telefonini

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Giovani, Società

C’è il traffico di esseri umani. È il dramma che accompagna la domanda di migrare nel mondo delle guerre e delle carestie, delle dittature e delle diseguaglianze. Lo chiameremo il traffico numero uno.

Ma poi ce n’è un altro. Per nulla drammatico e che si presta anzi a narrazioni comiche. Ma che vede crescere i suoi inconvenienti con il superturismo esploso nelle città italiane.

Lo chiameremo il traffico di esseri umani numero due. Fatto di persone che affollano sempre più gli spazi pubblici, confluendovi in massa senz’altro obiettivo che quello di andare a zonzo. Per vedere qualcosa, fare quattro passi nelle aree più famose di una città. Talora per certificare a se stesse che non hanno passato il week end da emarginate in casa, ma hanno “viaggiato”, “sono andate”.

Chi voglia camminare liberamente deve dunque imitare gli automobilisti; ossia scegliere, grazie alla propria perizia, le strade senza traffico o almeno a scorrimento veloce. A Venezia come a Milano, a Roma come a Napoli. Soprattutto perché non c’è solo l’effetto della quantità di persone che girano. Ma pure quello, e forse specialmente quello, delle maniacali e imperturbabili modalità con cui lo fanno.

Pensiamo ad esempio alle valigie. Un giorno portarsi in giro un guardaroba aveva il suo giusto prezzo. Tra cui la fatica fisica di camminare tenendo sospeso in aria un valigione. Era un bel sudare. Molta meno, ma sempre un po’ di fatica si fa anche trascinando un trolley o portando uno zaino. Ai quali perciò si cerca di imporre comunque una dimensione ragionevole. E tuttavia già l’uso di entrambi ha modificato la gioia del traffico di umani.

Si pensi alla convivenza su un autobus di persone zaino-munite che si muovano e girino senza attenzione agli altri, di qua spingendo i corpi di là colpendo le facce altrui con allegra noncuranza. Il fatto è che però ormai siamo ai valigioni-catafalchi che ci si porta morbidi al fianco su rotelline ultrascorrevoli. E che occupano da soli all’incirca lo spazio di una persona.

Pensate dunque a quando (con i turisti capita) i valigioni sono due, così da confiscare, insieme al proprietario, lo spazio di tre persone. E poi immaginate (non è difficile) che i proprietari siano due, entrambi convinti del loro inalienabile diritto di camminare a fianco (e se no che si viaggia insieme a fare?); allora lo spazio occupato sarà almeno quello di cinque persone. Procedenti a velocità di tartaruga. E poi immaginate (e anche questo non è difficile) che nella direzione opposta arrivino altrettanti proprietari, anche se con più modesti trolley al seguito.

Camminare diventa un delirio. E vi abbiamo fatto grazia dei bambini. O dei cani locali, che dopo il covid pullulano ovunque. Dovete chiedere permesso, cercare ansiosamente di infilarvi tra i vostri simili, con fare da galateo se no ci potrebbe scappare la rissa. E sapendo che superato il primo ostacolo ce ne sarà un secondo. E poi il capannello degli stanchi.

Se siete in una stazione ferroviaria dovrete cancellare i tempi previsti una volta per prendere una coincidenza. Ma quali sei-sette minuti? E quali 15 minuti per uscire da Termini?

Non parliamo poi del salire su un tram o dello scendere giù per i gradini della metropolitana. Perché tutti hanno un telefonino. Da cui non solo parlano. No, mentre camminano leggono i messaggi, o si fermano d’improvviso e li scrivono.

Facendo chiudere le portiere del bus che passa ogni venti minuti. O facendo inciampare il malcapitato che scenda i gradini dietro di loro o li segua in cima alla scala mobile.

Perché chi sta davanti si è scordato di dire una cosa al papa. O deve dire “ciao amo” a qualcuno esattamente da lì e in quel secondo.

Il guaio è che in questo frullare di tecnologie e turbe mentali non riusciamo più a camminare. Ci vuole un bel corso globale di educazione al traffico di esseri umani. Per le merci, al momento, è più facile.

Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 03/07/2023

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Sovranisti. Ma davvero vogliamo regalare Mazzini (e Mameli) alla destra meloniana?

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