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L’arte dello scrivere nella scuola di Barbiana

Pierluigi Ermini il . Cultura, Diritti, Giovani, Memoria, Società

Nel marzo del 1966, poco più di un anno prima di morire e quando ormai aveva la consapevolezza della gravità della sua malattia, don Lorenzo Milani scrisse una lettera a una signora di Verona.

La signora Lovato (così si chiamava) aveva in precedenza scritto al parroco di Barbiana riguardo alla “Lettera ai giudici” che don Milani, insieme ai suoi ragazzi, aveva inviato alla corte di Roma il 18 ottobre 1965 che doveva giudicarlo per apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.

Il reato era stato contestato a don Milani a seguito della lettera inviata dalla scuola di Barbiana l’11 febbraio dello spesso anno, ai cappellani militari che avevano votato un ordine del giorno contro l’obiezione di coscienza.

In quella lettera indirizzata alla signora Lovato don Lorenzo Milani parla della della lettera scritta ai giudici come di “un’opera d’arte”. Quel testo, così semplice, chiaro, preciso e conciso, era il frutto di un lavoro di mesi da parte sua e dei suoi ragazzi.

Non entro nel merito del contenuto della lettera ai giudici, vi invito a leggerla per farsi un’idea della lucidità delle affermazioni che vi sono riportate.

Mi preme invece soffermarmi sulla lettera scritta alla signora Lovato, dove don Milani ci offre una vera e propria lezione sulla scrittura e sul lavoro di gruppo nel redigere un documento che sia comprensibile a tutti.

In due o tre si sono accorti (nella lettera ai giudici) – afferma il prelato di Barbiana – che per schiarire le idee a noi stessi e agli altri, bisogna mettersi a lavorare tutti insieme per mesi”.

Quella lettera ai giudici, così bella e precisa, chiara e lucida, è stato il frutto di un lavoro di gruppo di don Milani con i suoi ragazzi all’interno della scuola.

Frutto di una ricerca approfondita delle parole giuste da utilizzare, di eliminazione delle contraddizioni, di un riordino dei versi, di dibattito interno e studio della storia, delle leggi, del senso di giustizia.

Alla fine la cosa diventa chiara per chi la scrive e per chi la legge – scrive don Lorenzo – La lettera ai giudici è stata un dono che abbiamo ricevuto e abbiamo fatto”.

Ed è vero, perchè quel testo ha aperto una discussione nel paese, ha dato vita a un dibattito politico e nel tempo, un seme che ha dato frutti, che ha favorito la nascita di un movimento che ha portato all’approvazione di una legge che ha riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza.

Non è un caso che don Milani abbia scritto così tante lettere, molte delle quali proprio insieme ai suoi ragazzi, frutto della lettura delle messive che riceveva, del confronto con loro, dello studio delle parole.

L’arte dello scrivere è la religione – continua don Lorenzo nella lettera alla signora Lovato – il desiderio d’esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo si intuiscono, le fa trovare a noi e agli altri”.

Parole bellissime che ci fanno intuire quale sia la forza delle parole e della scrittura quando diventano ricerca della verità, della giustizia, del senso della vita.

Scrivere è, per me, il tentativo di mettere ordine nel mondo che sento come labirinto, come manicomio” – affermava lo scrittore e drammaturgo svizzero Friedrich Dürrenmatt.

Mettere ordine è proprio l’azione che compie don Milani con i suoi ragazzi, facendoli crescere nella conoscenza e nella consapevolezza di se stessi, anche attraverso la capacità di scrivere che diventa così una forma di espressione della propria anima e della propria interiorità.

Ma è anche confronto duro con la realtà e con l’ingiustizia che sembra guidare questo nostro mondo, individuando le parole giuste che sappiano far scattare dentro di noi il desiderio della ricerca della verità.

Le parole hanno una forza unica che riesce a penetrare nella nostra coscienza.

Lorenzo Milani ha consapevolezza della loro forza e per questo il suo scrivere e quello dei suoi ragazzi diventa un’arte, un’opera d’arte, capace di arrivare alla nostra coscienza.

Ma un’opera d’arte che è frutto di ricerca, che richiede tempi lunghi, studio, analisi, ricerca della semplicità.

Solo le cose chiare e semplici riescono a far breccia dentro di noi, riescono ad abbattere i muri di compromessi che ci siamo costruiti nella nostra quotidianità che ci impediscono di avere occhi lucidi ed essere veramente noi stessi.

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