Proprio in questi giorni è iniziato a Cordoba il processo contro l’ex dittatore argentino Rafael Videla , imputato insieme ad altre trenta persone. Le accuse riguardano soprattutto uccisioni, nella fattispecie quella di 31 prigionieri politici, rinchiusi in un carcere della città, tra l’aprile ed il maggio del 1976. Questi pesantissimi strascichi della storia si ripresentano e diventano ancora più gravosi nel momento in cui l’ex dittatore ha addirittura dichiarato di assumersi la «responsabilità militare» per i crimini contro l’umanità commessi durante il passato regime, a suo dire, avvenuti «nel corso di una guerra contro i sovversivi, in cui i miei subordinati non hanno fatto che compiere ordini». Dichiarazioni sprezzanti, addirittura agghiaccianti soprattutto per le orecchie di chi ancora cerca giustizia dopo anni di repressione militare. Lo spunto della cronaca è stato interessante per intavolare un colloquio con Tonio dell’Olio, responsabile di Libera Internazionale, alla vigilia di un viaggio di dieci giorni proprio in Argentina, alla scoperta di una memoria, quella delle vittime della dittatura non tanto diversa da quella, italiana, delle vittime delle mafie. Contesti diversi, storie diverse, la stessa cruda storia e la stessa necessità di testimoniarne la memoria.
Tonio, Videla durante il processo ha detto di assumersi la responsabilità dei crimini commessi contro persone che lui dice erano sovversivi. Come commenti a caldo questa notizia?
In quegli anni in Argentina venivano definiti sovversivi anche tutti gli esponenti dei partiti di opposizione a quelli della dittatura militare. Non subivano giusti processi, e, normalmente, venivano detenuti e torturati arbitrariamente per poi essere fatti sparire. Oggi, per la verità, abbiamo anche parecchi particolari sulle vicende argentine di quegli anni, soprattutto sui cosiddetti “voli della morte”, appunto quelli degli aerei militari che sorvolavano il Rio Grande e dai quali venivano lasciati cadere i detenuti, che venivano prima drogati e poi lanciati da questi voli. Anche in Italia sono in corso alcuni processi, in quanto alcune persone come molti in Argentina, sono di origine italiana. Per quanto riguarda le dichiarazioni, la guerra era probabilmente in atto ma vedeva una parte soverchiante sulle altre, e questa era la dittatura guidata da Videla.
Un parallelo tra vittima di mafia e vittima della dittatura argentina fu il tuo modo di introdurre durante la giornata della memoria e dell’impegno di Milano, le vittime di quella barbarie. Ritorniamoci sopra…
Ritengo che quando ci confrontiamo con altre esperienze, dobbiamo rileggere anche la nostra. Noi stiamo cercando di realizzare una rete latino-americana di società civile per legalità e contro le mafie, sul modello italiano. In conseguenza di ciò siamo portati anche a rileggere la nostra definizione di mafia. Se per mafia noi intendiamo un gruppo che in maniera organizzata e continuativa nel tempo, facendo ricorse a tutti i metodi violenti che vanno dall’intimidazione alla coercizione all’omicidio e alle stragi, e ha come finalità l’aumentare di un patrimonio e di custodire e aumentare i propri privilegi, allora la dittatura argentina risponde perfettamente a questa definizione. Perché, dietro un paravento falsamente ideologico, loro hanno solamente garantito i loro privilegi, quelli di una casta borghese che in quegli anni imperava in un paese ricco come l’Argentina.
E di mafie in senso tradizionale possiamo parlare?
Su questo noi andremo ad approfondire, ma non implica che non ci siano anche lì organizzazioni criminali oggi, come ci sono state in passato. Pensiamo solamente al fatto che l’Argentina accanto al Venezuela è una delle nazioni che hanno il più alto numero di immigrati italiani e che normalmente la criminalità organizzata italiana, soprattutto Cosa nostra, ma non dimentichiamo la ‘Ndrangheta, ha sempre seguito i flussi migratori per diffondersi nel mondo, allora è molto credibile che lì ci sia stato un radicamento delle mafie italiane e anche una fitta rete di corruzioni e coperture di quella presenza.
La volontà di portare avanti proposte politiche che vadano nel senso del riuso dei beni confiscati, pur nella difficile e ipotizzabile situazione giuridica, è sintomo di una esigenza diffusa di legalità anche in Argentina?
Tu parli di difficoltà giuridiche ed è vero: l’Argentina è un paese molto diverso dal nostro, estremamente federale, per cui la legislazione può cambiare anche da dipartimento a dipartimento in maniera radicale. La nostra visita in Argentina è un passo di un percorso già preparato con associazioni locali e con gli ambasciatori argentini, nonché con Marco Carlotto, presidente della Commissione diritti Umani del Parlamento Argentino. Dietro questa spinta è avvenuto che due parlamentari abbiano presentato una legge che finalmente riconoscesse la confisca. In Argentina questi meccanismi si realizzavano fino ad oggi, ma solo per volontà di un magistrato, non si procedeva di ufficio alla confisca. Cercheremo di accompagnare questo iter parlamentare, offrendo spunti, elementi e presentando l’esperienza italiana. Cercando di preservarli dai limiti e ovviamente adattandolo al contesto argentino.
Questo viaggio rientra nella creazione di una rete, Alas, a cui state lavorando da tempo…
Si, la rete ALAS, America Latina Alternativa Social, è fatta di associazioni, università e persone molto differenti tra di loro, da persone che fanno ricerca giuridica, persone che si impegnano nell’ambientalismo. Un aspetto importante per un continente che oggi sta pagando il prezzo più alto per narcotraffico, tratta di donne e altre reati associati. Non dimentichiamo la violenza in Messico e Colombia, paesi con in quali stiamo tessendo questa rete. Con la malcelata volontà di arrivare a giugno 2011 alla realizzazione di un Contromafie latino-americano, sull’esempio di quello italiano. Per preparare quella tappa faremo incontri intermedi, il primo di questi a Buenos Aires a cui dovrebbe seguirne uno andino e uno brasiliano.