In ricordo di Francesca Morvillo
È per me un grande onore e motivo di commozione ricordare in questa occasione insieme a voi studenti la figura di Francesca Morvillo.
Pur non avendo mai conosciuto Francesca né avendo mai vissuto in Sicilia, traggo legittimazione al mio intervento dal fatto di essere donna ed essere per lungo tempo appartenuta all’ordine giudiziario: ciò mi consente, ed anzi mi impone, di accostarmi con uno sguardo di genere a questa figura di magistrata troppo a lungo evocata solo come la moglie di Giovanni Falcone e di attestarne l’elevatissimo valore professionale. Ed ho particolarmente apprezzato che la sensibilità degli organizzatori di questo incontro li abbia indotti a porre per prima la sua persona tra tutti i magistrati vittime di mafia e terrorismo che saranno ricordati.
Francesca Morvillo, nata a Palermo il 14 dicembre 1945, figlia di un magistrato e più tardi sorella di un magistrato, all’esito di un percorso universitario brillantissimo, costellato di 30 e lode, si è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti a soli 21 anni e mezzo; la sua tesi di laurea, dal titolo “Stato di diritto e misure di sicurezza”, ha ricevuto il prestigioso Premio Maggiore per la migliore tesi dell’anno in diritto penale. Durante il corso accademico ha insegnato in una scuola elementare per figli di detenuti.
Subito dopo la laurea ha affrontato e superato il concorso in magistratura e ad appena 24 anni è stata nominata uditrice giudiziaria; le sue prime funzioni sono state quelle di giudice presso il Tribunale di Agrigento; quindi per circa 16 anni è stata sostituto procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo e successivamente consigliera della Corte di Appello di quella città, dove ha redatto un numero elevatissimo di sentenze: ricordo in particolare che in quell’ ufficio, tra i molti importanti affari penali trattati, ha fatto parte del Collegio investito del processo sui grandi appalti di Palermo, che vedeva imputati amministratori e personaggi politici molto noti, tra i quali Vito Ciancimino.
Infine è stata nominata componente della commissione giudicatrice del concorso in magistratura e a tale incarico si stava dedicando al momento della morte nella strage di Capaci, il 23 maggio 1992.
All’attività professionale ha affiancato un prolungato impegno didattico di rilievo, insegnando dal 1986 al 1990 “Legislazione del minore” presso la Scuola di Specializzazione in Pediatria della Facoltà di Medicina di Palermo.
So bene che la lettura di un curriculum, per quanto prestigioso, non può restituire il senso complessivo di un percorso di vita professionale né lo spessore dell’impegno profuso; occorre quindi cogliere, con delicatezza e rispetto, le tracce e i segni che Francesca ha lasciato durante la sua breve esistenza.
La giustizia minorile ha costituito l’oggetto di tanta parte del suo lavoro e della sua passione, che ha associato all’ attenzione verso la funzione rieducativa della pena, secondo una prospettiva diretta a conciliare le esigenze punitive con il ravvedimento e la risocializzazione. Dal suo proficuo interesse su tali fronti si desume la forte volontà di dare un contributo per una giustizia più vicina ai più deboli e per rendere migliore la società e la sua terra in nome della legalità, con particolare riferimento all’ esigenza di aiutare i giovani a non essere catturati dalle logiche dei clan e di elaborare strumenti per il loro reinserimento nella società, facendoli tornare liberi di scegliere il loro futuro.
Da tutti i pareri formulati dai capi degli uffici in occasione delle sue domande di trasferimento o ai fini degli avanzamenti di carriera emerge un profilo di magistrata di livello eccezionale, intelligente, fine giurista, seria ed operosa, capace di evadere in tempi stretti montagne di arretrato.
Al di là del linguaggio burocratico di quei pareri emerge un comune apprezzamento delle qualità professionali, della vasta cultura, della sobrietà, della capacità di lavorare in silenzio.
Mi piace richiamare le parole scritte da Paola Di Nicola nel suo libro La Giudice in ricordo di Francesca, che era stata componente della sua commissione di esami: “Questa donna si muoveva con un incedere semplice ed elegante tra i nostri stretti e angusti banchi durante gli scritti del concorso… Sapevamo che quella donna era giudice a Palermo. Per noi, ragazze e ragazzi, chini su quei fogli da ore, era una funzione mitica, che rievocava impegno giudiziario e civile e imponeva coraggio, tanto coraggio… Molti di noi erano lì, in quell’ enorme salone dell’Ergife, per diventare come Francesca Morvillo, che faceva la giudice senza clamori e con rigore. Di ritorno dagli scritti del concorso, quella magistrata, dopo essermi passata accanto senza sapere che esistessi ma sentendo, di certo, il mio, il nostro sguardo sulle sue spalle, …era volata in Sicilia. Voglio immaginarla in auto, seduta accanto a suo marito, Giovanni Falcone, mentre racconta sorridendo di quelle migliaia di giovani visti in un’ aula intrisa di emozione e tensione ideale”. Ed è stato proprio questo il fotogramma del momento precedente l’esplosione di Capaci, il giorno successivo all’ espletamento delle prove scritte.
È importante oggi ricordare tutto questo perché, come sottolinea Giovanna Fiume nel libro Non solo per amore, scritto a più mani e coordinato dalla stessa Fiume con Cetta Brancato e Paola Maggio, arricchito dalla bella prefazione di Marta Cartabia, il 23 maggio 1992 è stata uccisa una persona e una magistrata, la prima ed unica donna colpita dalla mafia, prima ancora che una moglie.
Nella narrazione dei mezzi di informazione e nella percezione collettiva Giovanni Falcone è stato il grande e unico obiettivo della strage, mentre le altre vittime sono subito apparse come mere comprimarie di quella tragedia, figure quasi senza nome e senza storia.
Ma occorre dare atto che Francesca Morvillo è stata un’eccellente magistrata, che ha attraversato tutte le giurisdizioni e si è distinta in tutte le sedi per il suo rigore intellettuale, per la sua preparazione giuridica, per la sua tensione verso una giustizia attenta ai diritti delle persone.
Rievocarla solo come la consorte di Giovanni Falcone, come purtroppo spesso è avvenuto e ancora avviene, è un errore miope e fuorviante, in quanto limita in misura inaccettabile la percezione della sua personalità, ne ferisce la professionalità e riflette chiaramente lo stereotipo che fa attribuire solo al mondo maschile il valore di una morte da eroi, nell’ adempimento di un dovere.
Appiattire il suo ruolo a quello di compagna e di moglie legata al suo uomo da un amore totalmente oblativo vuol dire negare la sua figura pubblica, relegandola ad una funzione ancillare.
Ed allora è necessario rovesciare l’endiadi: è stata uccisa una magistrata prima che una moglie. E’ necessario far uscire Francesca dal cono d’ ombra in cui la strage di Capaci l’ha confinata, strappandola dal ruolo subalterno che le è stato cucito indosso anche per effetto di quel radicato pregiudizio e facendo emergere pubblicamente il suo valore professionale. Si tratta a mio avviso di un dovere imposto dalla sua storia e dalla sua caratura di magistrata.
Ed è un sollievo constatare che questa esigenza di rispetto per la sua persona e la sua professionalità si sta sempre più diffondendo, come dimostra la frequente organizzazione di convegni nel suo ricordo, la pubblicazione di libri e saggi a lei dedicati e anche l’intitolazione a suo nome di strade e di aule di giustizia.
Nessuno di noi può dire quanto sia stato alto per la magistrata Morvillo il prezzo che la scelta di vivere accanto ad un uomo tanto noto, tanto importante e tanto grande ha comportato, quanto le sia stato gravoso stare al suo fianco, ridimensionare le proprie aspirazioni, rinunciare forse ad altri percorsi di carriera, ad occasioni di dibattito pubblico e di partecipazione a convegni, all’ attività associativa, accettare una vita blindata, con tutte le implicazioni in termini di sicurezza, serenità e libertà e costantemente accompagnata dall’ombra della morte, rifiutare in accordo con il coniuge l’esperienza della maternità, nonostante l’ interesse sempre dimostrato per l’universo minorile.
Non sappiamo quanta pena si nascondesse dietro quel sorriso così aperto, quali pensieri e quali nostalgie ella nutrisse, quali sentimenti coltivasse oltre l’amore per Giovanni. Né sappiamo quante volte abbia pensato con rimpianto a come avrebbe potuto essere la sua vita se non avesse dovuto condurre un‘ esistenza blindata.
Come ci ricorda la sociologa Renate Siebert, la protezione, se da un lato suggerisce un minimo di sicurezza, dall’ altro rende costantemente alta la tensione, in quanto pone in evidenza l’esistenza e l’attualità del pericolo e al tempo stesso riduce al minimo la vita vissuta, impoverisce la quotidianità, limitandola al necessario.
La riservatezza evocata da tutti coloro che l’hanno conosciuta come aspetto fondamentale del suo carattere ha certamente impedito a chi le era accanto di superare quella barriera e quel riserbo che le consentivano il controllo delle emozioni e di leggere a fondo nel suo animo, intercettandone la sofferenza e le paure.
Sappiamo però che il percorso seguito con una coerenza estrema da Francesca Morvillo era l’unica strada possibile per continuare a vivere accanto a Giovanni Falcone e che il prezzo da pagare, pur altissimo, non poteva essere eluso.
È necessario che il ricordo di una magistrata così straordinaria diventi patrimonio di tutti e che in particolare esso sia consegnato alle nuove generazioni, perché dal suo impegno professionale e dalla sua forza di spirito esse traggano stimolo per affrontare con coraggio e generosità le sfide che la vita loro riserverà.
A voi giovani è affidato l’esempio di una magistrata a tutto tondo, che ha incarnato con pienezza i valori della legalità e della giustizia, ha ispirato totalmente il suo lavoro sia di giudice che di pubblico ministero ai principi di autonomia e indipendenza sanciti dalla Costituzione ed ha testimoniato in ogni momento della sua vita quanto l’ esercizio della giurisdizione, intesa come servizio alla collettività, può garantire l’ effettività dei diritti di tutti.
Il suo esempio è una illuminante conferma che lo studio costituisce lo strumento fondamentale per non cadere nella mediocrità e per realizzare un futuro all’ altezza delle vostre speranze più ambiziose.
* Già magistrata. Pubblichiamo il testo rielaborato dell’intervento svolto il 24 maggio 2023 al Convegno “Testimoni Capaci” presso il DAP promosso dalla Scuola di Formazione Giovanni Falcone e dall’ANM.
Fonte: Giustizia Insieme
*****
Roma 24-26 maggio 2023, Scuola di formazione Giovanni Falcone: “Testimoni Capaci”
Trackback dal tuo sito.