Contro l’usura. Ora nessuno è più solo, ma la strada da fare è ancora molto lunga
Nessuno è più solo. Bisognerebbe dirlo ogni volta che si va in una scuola, un’università, un’associazione. Come un mantra. Oltre a dipingere gli scenari complici, raccontare gli eroi, enfatizzare le scorte, bisognerebbe cioè spiegare che oggi nessuno è più solo.
Che non è più il tempo di Libero Grassi, l’imprenditore tessile ucciso nella Palermo del 1991, andato in tivù a denunciare i suoi estorsori di Cosa nostra e a dirgli che non li avrebbe mai pagati. Con il risultato di esserne ucciso una mattina di agosto mentre andava al lavoro. Lasciato perfettamente solo dai suoi colleghi, singoli e associati, prima e dopo, anche da morto. Finché non scattò la reazione dei commercianti di Capo d’Orlando, che con Tano Grasso si unirono nella prima associazione antiracket.
Cose che chi ha vissuto quei tempi con occhi aperti ricorda benissimo. Quel che molti non sanno, e nemmeno io sapevo, è però che in quel periodo la reazione scattò anche ad altre latitudini. Ossia a Saronno, provincia di Varese.
Lì iniziò la storia di rivolta di un imprenditore di nome Paolo Bocedi, che nel 1992 subì un attentato. Una rivolta con calvario, come accadeva allora e come purtroppo spesso ancora succede. La denuncia, i carabinieri che proteggono, i figli guardati a scuola con timore e anche fastidio per via della scorta che li accompagna, i clienti che riluttano a entrare nel negozio perché non si sa mai. E il processo, e la paura. L’Italia che sapeva di Capo d’Orlando nulla seppe di Varese. D’altronde la mafia è in Sicilia, mica in Lombardia…
Ebbene, ho sentito Bocedi parlare l’altro giorno nel palazzo della Regione Lombardia a un convegno da lui promosso come presidente della società antiusura che ha fondato, “SOS Italia libera”. E davanti agli interessati l’ho sentito raccontare storie vere di usurati sottratti vittoriosamente alle grinfie dei clan. Ho sentito narrare con precisione gli itinerari per i quali queste persone sono passate, come da un prestito di mille euro si rischi da finire in una voragine di paura, di violenza e di rovina.
Ho capito quanto la solitudine e la vergogna generino drammi autentici, fino all’idea (che non sempre resta solo idea) del suicidio. E sciorinando le sue memorie, mettendo in fila gli episodi in cui lo Stato è intervenuto con effetti decisivi, ha continuato a spronare con il titolo del convegno: “Mai più soli contro il pizzo”.
Ne ho tratto una nuova tinta di ottimismo per il nostro futuro. Perché c’è sempre un giornalista, un consigliere comunale, un magistrato, un capitano dei carabinieri, un insegnante, un esponente di associazione, un parroco perfino, a cui rivolgersi. Non tutti, certo. Meglio non cercare aiuto alla cieca. Ma i meccanismi associativi, le reti sul territorio sono in grado di consigliarci bene.
Al convegno si è parlato anche di quanto poco costerebbe alle banche intervenire di fronte a un debito di 1.000 o 5.000 euro. Con garanzie pubbliche. E senza rischi di imbrogli.
Bocedi non ha dubbi: “I veri usurati li riconosci già dagli occhi, dallo smarrimento, dalla paura”. Nell’occasione è stata anche rilanciata una proposta sostenuta da decine di istituzioni e associazioni.
L’ha ricordata l’ex presidente della commissione regionale antimafia Monica Forte, che per il suo impegno ha avuto da Bocedi la presidenza onoraria della propria associazione.
Perché, ha chiesto Forte pensando all’ondata di investimenti in arrivo, quando si fanno opere pubbliche non si prevede per gli appalti sotto soglia (ossia quelli che non devono essere portati a bando pubblico) un punteggio premiale per le imprese che hanno denunciato i loro strozzini? Così, invece di essere mandati in rovina dalla “cattiva reputazione” che tante volte ha fatto chiudere bar e artigiani, saranno aiutate a restare sul mercato. Alla faccia di estorsori e usurai.
A pensarci, davvero il motto vincente è “Nessuno è più solo”. Bisogna dimostrarlo sempre, questo è il problema.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 15/05/2023
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