Peppino Impastato, ucciso il 9 maggio 1978 per l’irriverente coraggio con cui denunciava i traffici di Cosa nostra
Dalle frequenze di Radio Aut Peppino Impastato, con graffiante ironia e irriverente coraggio, denunciava i traffici di Cosa nostra e del boss Tano Badalamenti.
Faceva il giornalista, anche se non lo era “ufficialmente”. Scopriva fatti di interesse pubblico e li raccontava con articoli e interventi radiofonici. La gente lo leggeva e lo ascoltava perché aveva il coraggio della verità.
Il suo corpo venne trovato dilaniato all’alba del 9 maggio 1978 sui binari della stazione di Cinisi. Venne simulato un suicidio misto ad un’azione terroristica.
I depistaggi di chi avrebbe dovuto indagare fecero il resto. Oscurata dalla tragedia nazionale del delitto Moro, la storia di Peppino venne relegata all’interno dei quotidiani. Per la maggior parte dei quali si trattava del “suicidio di un terrorista”.
A condurre un’inchiesta parallela furono invece i compagni e i familiari di Impastato. Nel 1984 arrivò così la prima sentenza, ad opera di Antonino Caponnetto che, sulla base delle indicazioni di Rocco Chinnici, riconobbe la matrice mafiosa del delitto. Nel 2001 e nel 2002 furono condannati Vito Palazzolo a 30 anni di carcere e Tano Badalamenti all’ergastolo.
L’attività di Peppino ha ispirato e continua a ispirare ogni giorno l’azione di numerosi giornalisti ed è un esempio positivo per tanti ragazzi che ammirano la forza delle sue idee e il coraggio nell’opporsi a quella “montagna di merda” che è la mafia.
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