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Roma città aperta

Di Luigi Spera il . Lazio

L’omicidio di stampo mafioso alla
periferia di Roma, che ha visto cadere sotto il piombo dei killer il
pregiudicato Carmine Gallo di Torre Annunziata in provincia di
Napoli, riapre un dibattito sempre attuale sulle infiltrazioni della
criminalità organizzata a Roma e nel Lazio. Un elemento di analisi
sulle mafie che da sempre viene preso in considerazione con
attenzione. La guardia delle forze dell’ordine e della magistratura
antimafia resta sempre molto alta. Dal suo alto osservatorio, grazie
a un’esperienza e una carriera di altissimo profilo professionale,
il punto al riguardo del generale Vittorio Tomasone, comandante
provinciale dei carabinieri di Roma, diventa letteratura. Prima di
arrivare al vertice dell’Arma di Roma, l’alto ufficiale ha retto
infatti prestigiosi incarichi operativi, tra i quali, in particolare,
il Nucleo Operativo del Provinciale di Napoli dal 1989 al 1993, il
Comando Provinciale di Latina dal 1995 al 1998, il Reparto Operativo
del Provinciale di Roma dal 1998 al 2001. E’ stato poi Capo Centro
della Direzione Investigativa Antimafia della Capitale dal 2002 al
2004 e ha retto il Comando Provinciale di Palermo dal 2004 al 2007.

Signor Generale, a Roma e nel Lazio, le
mafie sono sempre più presenti, non più solo una mera infiltrazione
per riciclare?

Sulla presenza di associazioni di
stampo mafioso, emergono segni di un maggiore radicamento sul
territorio, anche se dobbiamo dire, per quanto attiene ai metodi e
alle attività portate avanti, questi gruppi, si discostano da quelli
che sono i sistemi operativi imposti alle regioni del meridione. Roma
poi si differenzia molto dalla altre aree del Lazio. Per esempio
nelle province di Latina e Frosinone la presenza camorristica è
molto maggiore e più penetrante. E dopo l’operazione Spartacus poi
abbiamo assistito a un ulteriore passaggio verso l’area pontina di
pregiudicati e affiliati ai clan casertani e napoletani. Soggetti che
sono emigrati potendo contare su una presenza stabile di altri
sodali. E così il rapporto con il territorio è sempre più stretto.
In particolare come verificato nel caso di Fondi, l’interesse dei
clan sul mercato ortofrutticolo, era per la camorra assolutamente
prioritario.

E nella capitale…

Roma è vera e propria città aperta,
soprattutto la città è esposta al reinvestimento del fiume di
denaro accumulato dalle organizzazioni con le attività illecite.
Soprattutto la capitale è base scelta sempre più spesso per la
mediazione tra gli italiani e le grandi mafie che trafficano in
stupefacenti a livello internazionale. Una piazza dove si incontrano
italiani e stranieri.

Ma voi non state a guardare.

Assolutamente no. Le nostre indagini
sono attività che toccano sempre sistemi complessi, neutralizzano
compagini. Solo lo scorso anno abbiamo effettuato 40 arresti al
termine di una lunga indagine sulla Camorra. Gruppi che effettuavano
estorsioni e praticavano usura. Ovviamente utilizzando metodo
mafioso. Il reinvestimento avveniva attraverso le attività di alcuni
autosaloni. Dopo due anni di indagini siamo riusciti a mettere la
parola fine.

Spesso risalire alle operazione per
ripulire il denaro sporco è difficile. Le tracce si perdono tra
mille rivoli e società a ‘scatole cinesi’.

Certamente il nostro lavoro si sviluppa
sue due piani su cui agire in contemporanea. Da una parte bisogna
scardinare il traffico internazionale di droga. Dall’altro è da
interrompere le pratiche di reinvestimento che tutte le varie mafie
operano. Molto è stato fatto. E i risultati futuri saranno sempre
più lusinghieri in questo settore.

Sequestri e confische

Il mafioso vero non rinuncia mai
all’idea di vedersi privato di un bene accumulato. E’ sua convinzione
che questa sorta di reato artificiale, sia una sorta di
soverchieria, accetta senza problemi, di essere perseguito per un
crimine, ritiene che una volta sperata la fase e reinvestito, ormai
quello che ha realizzato è suo, Psicologicamente è quello
l’habitus, avverte, lo spossessamento dei beni da parte dello stato
come un castigo.

Da diversi versanti anche
dell’antimafia, è attuale la proposta di una lettura del fenomeno
che vorrebbe le organizzazioni romane e del sud del Lazio come una
‘quinta mafia’ locale con basi forti in mafiosi di terza e quarta
generazione cresciuti lontani dal sud.

Il discorso in merito non è netto. Il
fatto è che ancora adesso, un clan sul territorio laziale più è
temibile quanto più è in grado di mostrare forte un collegamento
con la terra di origine. Molto spesso viene contestato il reato
associativo a gruppi del territorio, ma il livello di pervasività
non raggiunge mai quelli relativi alle cosche che operano nelle zone
afflitte del meridione. Questo non significa che sia un bene, è che
nel Lazio e in altre regioni del centro-nord i gruppi criminali
tendono a favorire altri reati, i ‘target’ sono diversi. Si fa
uso delle armi, ma non con quella frequenza cui è abituato il sud.
Qui ci sono fatti di sangue che restano maggiormente insoluti. Sette
i casi degli ultimi anni di omicidi ascrivibili a criminalità
organizzata che sono rimasti senza colpevoli. Il ferimento in un
agguato a Ostia di un pregiudicato, ha visto finire in manette a due
anni di distanza i responsabili solo grazie agli sforzi dei
carabinieri. Militari che si sono concentrati sul caso e che con
grande difficoltà hanno ricostruito lo scenario. Non assolvo i
criminali laziali, e non si deve pensare che se l’ordine della
capitale è migliore, questo ci porti a sottovalutare tutte le forme
di criminalità organizzata, che vanno combattute.

I vecchi soggiorni obbligati di mafiosi
nelle regioni del centro nord e il numero crescente di collaboratori
di giustizia che vengono inviati in località protette, non possono
favorire lo sviluppo di clan autoctoni?

Quando vi è un interesse le modalità
si trovano sempre. Non è necessario il soggiorno obbligato di
qualcuno. Molti si riferiscono al caso di Frank tre dita, ma in molti
alti casi, non è stato questo. Non c’è un collegamento tra i
soggiorni e i pentiti e il radicamento dei clan. Tra l’altro oggi
questo istituto non esiste più. Solo poche settimane fa alle porte
di Roma, abbiamo arrestato tre famiglie di origine meridionale che
nel pollaio nascondevano mitragliette Uzi, fucili e pistole. E non
erano in soggiorno obbligato. A Nettuno poi, altro comune a rischio
scioglimento per infiltrazioni mafiose, le ‘ndrine calabresi
avevano dato solo appoggio armato a gruppi locali, non di origine
meridionale.

A Roma poi sono stati arrestati tanti
latitanti di Mafia, Camorra e ‘ndrangheta, perchè?

La capitale non è certo una zona
franca, ma tradizionalmente, visti i tre milioni di abitanti e il
numero enorme di lavoratori che da tutta Italia si stabiliscono in
città crea il giusto movimento che rende più sicura la fuga del
latitante.

Capiscono, percepiscono il pericolo,
sanno quanto siano presenti le mafie?

I romani temono molto il radicamento
della criminalità, però sanno che è talmente alto l’impegno per
impedirlo che ciò non accadrà. Qual che temono di più è il potere
del reinvestimento che inquina l’economia. Ripeto però che non ci
sono le stesse forme e strategie di controllo del territorio che ci
sono al sud.

Droga e delinquenza ‘tradizionale’,
certo, ma dove la criminalità punta oltre alle classiche attività?

E’ così. C’è l’usura le
estorsioni e la droga che sono facili da individuare come obiettivi
privilegiati. Ma è necessario focalizzare l’attenzione su una
delinquenza trans-nazionale che dilaga. Quello che dovrà diventare
altrettanto importante è l’hackeraggio internazionale e
l’inserimento di dati per banche agenzie per la realizzazione di
moneta elettronica adulterata, e dalla breve vigenza. La frontiera
dell’illegalità è la realizzazione di inserimento su internet per
ottenere dati sensibili. In questo settore operano gruppi
trans-nazionali legati a strutture organizzative di tipo mafioso in
giro per il mondo.Furti di identità, servono per essere
rivenduti a chi crea carte di credito false che durano pochi giorni.
Quanto basta per delle truffe on-line.

La globalizzazione della criminalità…

Si, si tratta di una nuova frontiera
perchè le pene per i colpevoli sono blande, e le difficoltà di
investigare enormi. E le possibilità delinquenziali sono enormi
stando anche comodamente in Ucraina o in Romania. Quello che oggi ci
preoccupa meno perchè è coperto da assicurazione, nel giro di pochi
anni o mesi, diventerà un costo per la società, perchè muovendosi
a danno delle assicurazioni, porterà ad aumentare le polizze,
ricadendo sui consumatori. Le organizzazioni criminali hanno i soldi
per pagare i migliori laureati in informatica. Oggi un hacker è più
pagato di un killer. Ci sono in Italia piccoli gruppi apparentemente
poco organizzati, o scarsamente significativi che riescono con questa
truffe ben lontane dalla vendita della fontana di Trevi e il gioco
delle tre carte.

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