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‘Ndrangheta in Lombardia, manette per i Valle

Lorenzo Frigerio il . Lombardia, Mafie

Una vasta operazione antimafia guidata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che ha visto la partecipazione di circa 250 agenti di ben sedici questure, in accordo con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato; settanta perquisizioni effettuate in tutto il territorio italiano; quindici persone finite in manette con pesanti accuse che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’usura, passando per l’intestazione fittizia di beni; 138 tra immobili e altri beni aziendali sequestrati, infine, che sono provento dell’attività usuraria per un valore che oscilla tra gli otto e i dieci milioni di euro: è questo l’importante bilancio tracciato dai magistrati della Procura della Repubblica di Milano Ilda Boccassini, Daniela Dolci, Paolo Storari, dal capo della Squadra Mobile Alessandro Giuliano e da Raffaele Grassi dello SCO, nel corso di un’affollata conferenza stampa che si è svolta al termine delle operazioni di polizia, che hanno interessato in particolar modo la Lombardia tra mercoledì 30 giugno e giovedì 1 luglio.

Da Reggio Calabria a Vigevano

Al centro dell’inchiesta un clan storico della ‘ndrangheta, legato da vincoli epocali con i potenti boss Di Stefano di Reggio Calabria. Stiamo parlando del clan Valle, da tempo insediatosi tra Vigevano e Milano, il primo clan a cui vennero sequestrati e poi confiscati beni in Lombardia e riutilizzati a fini sociali, grazie alla legge 109/96 promossa da Libera.

La presenza della famiglia Valle in Lombardia risale alla fine degli anni Settanta, una presenza dovuta, da un lato, all’esigenza criminale di espandersi in nuovi territori e, dall’altro, motivata dai furori della guerra intestina contro i clan rivali dei Geria – Rodà, che in quegli anni aveva mietuto vittime da un parte e dall’altra nel territorio di origine.

È però nel decennio successivo che il clan allarga la propria sfera d’influenza muovendo dalla provincia pavese, in particolare Vigevano, verso Milano, passando dall’hinterland sud ovest del capoluogo.

Alla guida del sodalizio criminale il capostipite Francesco Valle, di 72 anni, supportato dai figli Fortunato e Angela, sposatasi con Francesco Lampada, altro rampollo di famiglia mafiosa proveniente da Reggio Calabria, finito lui pure in manette. Il patriarca si occupava in prima persona degli affari di famiglia, incentrati soprattutto sui business dell’usura e dell’estorsione. Le somme che venivano prestate partivano da un minimo di 20mila euro per arrivare anche ad un massimale di 250mila euro mentre il tasso di interesse accordato era del 20%: condizioni capestro dalle quali era difficilissimo rientrare per chiunque. Gli altri arrestati sono in gran parte esponenti della famiglia Valle, come si evince dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Giuseppe Gennari: Maria Valle, Carmine Valle, Antonio Domenico Spagnuolo, Alessandro Spagnuolo, Francesco Lampada, Giuliano Roncon, Riccardo Cusenza, Bruno Antonio Saraceno, Maria Teresa Ferreri, Giuseppe Tino, A. M., Santo Pellicanò.

Usura e investimenti

I proventi delle attività illecite della famiglia Valle erano poi reinvestiti in attività commerciali e immobiliari, grazie anche all’ausilio di compiacenti prestanome, ai quali erano intestati esercizi commerciali e quote aziendali. Al clan calabrese sono state ricondotte, per il momento, ben 34 tra società e aziende.

In particolare, gli imprenditori Cusenza e M. avrebbero permesso ai Valle di estendere la loro “sfera di influenza interessandosi a operazioni legate alle costruzioni immobiliari”.

La zona oggetto di interesse sarebbe quella ricadente nei comuni di Rho e di Pero, alle porte di Milano, interessate in prima battuta dalle opere connesse al prossimo Expo 2015.

Al momento risultano solo diciassette casi di prestito abusivo di denaro e cinque vittime di usura, ma gli inquirenti ritengono che gli imprenditori vittime del clan siano molti, molti di più.

Il giudice Boccassini ha ricordato che le indagini, durate circa due anni, non sono nate da segnalazioni o denunce e questo è un aspetto assolutamente negativo che rivela un totale assoggettamento del tessuto civile e imprenditoriale dell’area: “parte della cittadinanza milanese si comportava con questa organizzazione al pari di quello che succede a Locri, a Trapani o in Sicilia, nel senso che avevano il rispetto totale”. Il magistrato ha anche rivolto un accorato appello alla classe imprenditoriale perché utilizzi lo strumento della denuncia: “o si sta con lo Stato o si sta contro lo Stato. Nei casi borderline, quando c’è connivenza la linea della Procura sarà durissima. Non si possono avere alibi”.

Clima di omertà? Palese connivenza? Diffusa rassegnazione? Sfiducia nelle istituzioni?

Tutte ipotesi possibili e al vaglio degli inquirenti. Difficile dare una risposta univoca, anche se il quadro che emerge da queste ultime

indagini è davvero inquietante. Nessuno ha parlato, mentre tutti continuavano a subire. Se non fosse stato per il tanto vituperato strumento delle intercettazioni telefoniche, difficilmente l’inchiesta sarebbe andata in porto positivamente. Proprio in una telefonata di quelle oggetto di intercettazioni, un imprenditore si confida con un amico, dichiarando la paura per la propria incolumità, a fronte dell’impossibilità di saldare il debito: “Domani ho un appuntamento con i peggiori che me li hanno prestati, dei calabresi, e verrà fuori l’ira di Dio”.

Il controllo del territorio

“Colpirne uno, per educarne cento”: questo il metodo utilizzato dai Valle, così esemplarmente ricostruito dalla pm Boccassini ad uso dei giornalisti.

Chi non pagava, infatti, finiva spesso e volentieri per ricevere una punizione anche fisica. Diversi i casi di pestaggi registrati, ad esito di una terribile escalation di pesanti minacce. I pestaggi ai danni dei riottosi debitori venivano portati a termine in un vasto complesso immobiliare a Cisliano (MI), di proprietà dei Valle, comprensivo del ristorante “La Masseria”, intestato ad un egiziano, ma in realtà vera e propria base operativa della famiglia. Nel complesso risiedevano sei dei quindici fermati dalle forze dell’ordine. Al di là della piscina, del ristorante e del salone per feste, il complesso di Cisliano era dotato di apparecchiature antintrusione. Un fortilizio difficilmente espugnabile dall’esterno e comunque in grado di assicurare una assoluta protezione agli affari del clan calabrese.

Altre basi logistiche della famiglia Valle sono state sequestrate a Milano, Como, Rho, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Settimo Milanese, e Bareggio, dove, sotto la protezione accordata da feroci cani rottweiler e da telecamere a circuito chiuso, abitava invece il vecchio capofamiglia, Francesco Valle. Sequestrato anche un cantiere edile a Settimo Milanese dove è prevista la realizzazione di una quarantina di appartamenti; in tal caso la nomina del custode giudiziario dovrebbe tutelare gli interessi delle famiglie acquirenti.

“Controllo del territorio”, “senso di sicurezza”, “solidarietà dell’ambiente sociale”: tutte espressioni che si rinvengono nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip Gennari e che tradiscono in qualche maniera l’assoggettamento mafioso del territorio. Quando si parla di mafia al nord, si dice sempre che uno degli elementi che ne differenzia la presenza rispetto al sud del Paese è l’assenza del controllo del territorio. Oggi non è più cosi.

Durante la conferenza stampa sono emersi alcuni particolari che rivelano l’ossessione per il controllo di quanto avviene nella zona controllata dal clan.

Basti pensare che, scoperto un appostamento nei pressi del bunker della famiglia, un gruppo di vedette si è prodotto in un lungo inseguimento ai danni di una macchina di un poliziotto in borghese che, raggiunto nel centro di Milano, si è dovuto giustificare per la sua presenza rilevata più volte nei pressi de “La Masseria” e ad ammettere alla fine di essere un agente della PS.

I rapporti con la politica

Sotto i riflettori dell’inchiesta milanese sono finiti anche i rapporti con la politica locale.

Nel gennaio 2009 l’imprenditore immobiliare A. M., anche lui finito in carcere, riceve la buona notizia: il comune di Pero (MI) ha dato il via libera all’apertura di un ristorante, una discoteca e una piccola casa da gioco, in un’area limitrofa all’insediamento dei cantieri dell’Expo 2015. L’operazione sarebbe andata in porto, grazie all’interessamento di un assessore comunale, Davide Valia. M., sorpreso dall’intercettazione, si lascia scappare un’espressione per cui è superfluo ogni commento:  “Minchia, meglio di Davide che è a Pero… cosa dobbiamo avere?”.

Sia dall’ordinanza che da una informativa della Squadra Mobile di Milano, emerge con chiarezza il ruolo svolto dal politico per favorire i Valle nelle concessioni richieste e nell’avviare proficui rapporti con altri amministratori locali della zona. Da segnalare, all’indomani dell’imponente operazione, una nota ufficiale del comune di Pero, con la quale il sindaco Luciano Maneggia dichiara che “nessuna licenza per mini-casinò o discoteche è stata rilasciata dagli uffici competenti dall’insediamento della giunta in carica”. Nel frattempo, l’assessore Valia, chiamato in causa dalle indagini, si è detto pronto ad autosospendersi per dimostrare la sua estraneità a quanto gli viene contestato e per evitare danni di immagine all’amministrazione comunale di cui fa parte.

Legami con la politica emergono anche da altre vicende. Uno degli arrestati, Riccardo Cusenza, di professione imprenditore, nel 2009 si presenta alle amministrative per il Comune di Cormano (MI), in quota PdL. Nel corso di una delle sue telefonate, Cusenza spiega di avere un asso nella manica, perché  “molto vicino all’attuale presidente della Provincia di Milano Podestà. Siamo culo e camicia, adesso verrà all’aperitivo che organizziamo a Cormano”. Accusa quest’ultima rinviata a stretto giro di posta al mittente, con una nota ufficiale della Provincia di Milano che parla di generica vanteria, sottolineando che “a chi come Podestà ricopre da molti anni incarichi politici ed istituzionali di grande importanza per il territorio è impossibile impedire che soggetti terzi, col probabile scopo di accreditarsi, utilizzino in modo improprio il suo nome”.

E un altro tentativo di giocarsi in proprio in politica riguarda la famiglia Valle direttamente: sempre nel 2009, uno dei figli di Francesco Valle, Leonardo, tenta di farsi eleggere in consiglio comunale all’interno di una lista collegata al candidato di centrosinistra Mario Soldano. Quando i suoi legami familiari vengono alla luce, scoppia la bagarre in piena campagna elettorale e anche per il clamore nato in sede locale Leonardo Valle, nonostante il centrosinistra esca vincente dalla contesa, non viene eletto.

Sullo sfondo, l’Expo

Nel commentare l’operazione contro la famiglia Valle, il ministro dell’Interno Maroni ha dichiarato che si tratta della “prima azione mirata contro le infiltrazioni attorno all’Expo”. A riguardo dell’Expo prossimo venturo, il commento del pm Boccassini è sembrato più cauto: “Il pericolo c’è, il business interessa buoni e cattivi. Bisognerà individuare i buoni, i cattivi, ma soprattutto le zone grigie, che sono le più pericolose”.

Maroni ha sottolineato che il metodo di infiltrare l’economia sana, grazie alla pratica dell’usura, è un vecchio metodo: “Tutto è nato negli anni Settanta con il famigerato istituto del soggiorno obbligato che la Lega per prima denunciò. Vedeva il rischio di infiltrazioni che poi ci sono state”.

Parole di ministro, sicuramente importanti, perché segno dell’attenzione dello Stato nei confronti di un appuntamento mondiale che è portatore di interessi economici rilevanti. Sarebbe importante che una medesima attenzione, comprensiva dei rischi collegati alle presenze reali – e non alle possibili infiltrazioni – delle mafie, venisse manifestata dai politici locali. Fino ad oggi invece abbiamo assistito ad una pericolosa e irresponsabile prova di forza, per la ricerca di posti di comando e alla mancanza di risultati concreti.

Mancano meno di cinque anni all’Expo? Ci salverà la Protezione Civile?

 

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