“Se ci volete silenti dovete spararci”
Gentilissimo Presidente
Le scrivo in rappresentanza delle
centinaia di testate locali che ogni giorno, nel nostro paese, si
battono per la libertà d’espressione. Piccoli “nidi di ragno”
innestati in territori spesso difficili o come, nel nostro caso, in
terra di mafia, clientelismo e corruzione.
Gentilissimo Presidente,
ogni giorno “giornalisti per amore”
vengono pestati, minacciati, intimiditi per l’unica colpa di volere
raccontare la verità, di tentare di rendere onore ai padri
costituenti che ci regalarono l’Articolo 21 della Costituzione ed,
insieme ad esso, la democrazia e la libertà col costo di migliaia di
vite umane.
Siamo carne da macello, signor
Presidente, alla mercé di mafiosi, politici corrotti e scagnozzi che
vogliono rendersi belli agli occhi dei capi. Spesso soli nelle nostre
battaglie, nelle denunce da Trento a Trapani. Siamo anche quelli che
conoscono meglio il territorio, perché lo viviamo ogni giorno.
Perché col mafioso o col politico
corrotto che denunciamo spesso ci tocca dividere il bancone dello
stesso bar. Siamo anticorpi democratici di un paese che, anche grazie
al suo governo, sta andando in cancrena.
Abbiamo mille volti e mille mezzi.
Siamo blogger, speaker, redattori, scriviamo via web, parliamo via
etere, raccontiamo su carta. Non siamo giornalisti ma veniamo
perseguitati come tali. Abbiamo i nostri eroi, alcuni scolpiti nella
storia come Peppino Impastato, altri fortunatamente ancora liberi di
esprimere il loro pensiero come Carlo Ruta o Pino Maniaci. Ma
soprattutto gentilissimo Presidente abbiamo fatto la nostra scelta:
la nostra libertà vale molto di più delle nostra vita.
Dove non hanno potuto i bossoli, le
lettere intimidatorie, le minacce, le denunce, le querele mirate,
dove non ha potuto la più potente ed influente famiglia
politico/mafiosa della Sicilia, non potrà una legge canaglia come
quella sulle intercettazioni. Lei e il suo fido Alfano v’illudete
che una norma moralmente illegale possa diventare prassi solo perché
vergata su crismi di burocratica legalità. Signor Presidente noi
continueremo a fare il nostro lavoro, raccontando quello che avviene,
anticipando la notizia, veicolando le news e se il caso, scrivendo
quello che (secondo voi) non si deve raccontare. “Disonorare i
mascalzoni è cosa giusta, perché, a ben vedere, è onorare
gli onesti”. Sa perché gentilissimo
Presidente non potrà mai batterci? Perché giochiamo su un terreno a
Lei sconosciuto. Quello della libertà individuale che diventa
patrimonio collettivo. Non siamo in vendita e sappiamo “resistere”
a tutto.
Siamo liberi e quello che facciamo lo
facciamo di tasca nostra, rischiando di nostro. Perché è facile
dire per una grande testata “noi resisteremo” dall’alto
d’avvocati ben pagati e gruppi editoriali forti ma è ben più
difficile farlo quando quel poco che hai in soldi di carta e rabbia
ti serve anche per
mangiare ogni giorno. Ma lo facciamo in
tutta Italia, da classici signor nessuno, senza enfasi o
protagonismi. Perché amiamo il bello
del nostro paese e ogni muro amico che ci ha visto piangere o
sognare. Perché diciamo ogni giorno di voler mollare ed ogni giorno
troviamo la forza di andare avanti. Perché amiamo le nostre donne e
ci perdiamo negli occhi dei nostri figli a cui vorremmo consegnare
qualcosa di più bello del paese attuale.
Ed abbiamo riferimenti etici alti:
Pietro Ingrao, Vittoria Giunti, Luigi Ciotti, Paolo Borsellino,
Giovanni Falcone e quel Piero Calamandrei che dei partigiani italiani
diceva così:” Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi,
con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da
compiere: il grande lavoro che
occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo
lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella
di morire, di testimoniare con la fede e la morte la fede nella
giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole:
quello di tradurre in leggi chiare, stabili ed oneste il loro sogno
di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di
tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in
verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli”.
Non li tradiremo signor Presidente. “Se
ci volete silenti dovete spararci” dicemmo da ragazzini, di un
piccolo giornale locale (Ad Est) di un piccolo paese dell’entroterra
agrigentino, ad
uno scagnozzo mafioso che ci intimava
di tacere. Lo ripetiamo a Lei che con l’aureola della legalità
vuole imporci lo stesso mafioso silenzio. Non taceremo e non
molleremo neppure un centimetro. Quindi signor Presidente non ha
altra scelta: ritiri la legge o prepari tanti proiettili, perché
siamo in molti. Indietro non torniamo…neanche per prendere la
rincorsa.
Trackback dal tuo sito.