“Eravamo in cinquanta”, scrisse senza pietà Antonio Padellaro il giorno dopo, sul Fatto. Magari eravamo il doppio, forse anche il triplo, ma l’effetto visivo e politico non cambiava. Un po’ meglio andarono le cose quindici giorni dopo, quando – sempre nella piazza prossima al Senato, camera di molte magagne – si riunirono per quattro ore le categorie dello spettacolo e i giornalisti, a difesa di tutte le forme della comunicazione: non solo cartacea o radio-tv, ma teatro, cinema, danza, musica, accademie di belle arti, musei, archivi storici, istituti d’alta cultura umanistica e scientifica: tutti sotto la duplice mannaia di tagli e bavagli.
Il 1 luglio salirà il diapason, giovedì, in un altro pomeriggio un po’ meno lungo, spero, anche per togliere agli assenteisti la scusa del caldo. Qualcosa di più nella protesta della Federazionme della stampa: la presenza di quella parte di società civile vittima di crimini e di altrettanto delittuosi comportamenti dei residui fascisti dello stato, comportamenti di cui,con la legge bagaglio, non solo gli italiani non avrebbero avuto notizia, ma nemmeno i familiari avrebbero saputo com’è che quei loro ragazzi erano diventati cadaveri. Due donne testimonieranno le tragedie delle rispettive famiglie, simbolo del dramma collettivo, come già le vedove Calipari, Fortugno, Biagi, D’Antona, i primi nomi che vengono alla memoria. Le due signore, appena dichiarate cittadine dell’anno dall’Associazione Articolo 21, sono la mamma di Federico Aldovrandi e la sorella di Stefano Cucchi: l’uno entrato vivo e uscito morto da una caserma di polizia, l’altro egualmente entrato vivo e ucciso tra un carcere e un ospedale: qui, a Roma, “culla della civiltà latina”, “madre del diritto”, “sede della cristianità”.
Mistero: quasi fossimo nel cielo di Ustica, alla Diaz di Genova, alla casa dello studente di L’Aquila…
(Parentesi: non sapevamo che esiste un paese in provincia di Ravenna, Conselice, unico fra gli ottomila comuni d’Italia, con un monumento alla Libertà di Stampa: una piccola Costituzione americana, o Magna Charta o Articolo 21 di marmo o bronzo. Il 1 luglio a Conselice si farà una notte bianca, attorno a quella statua, dedicata non a una persona o evento ma a un’Idea: come il monumento alla Libertà a New York o i tanti alla Giustizia, al Lavoro, all’Arte.
Si deve alla ferrea volontà di Giulia Bongiorno se il disegno di legge mozzamani per i giudici e imbavagliatore di giornalisti è ancora impantanato alla Camera, fra audizioni e ricuciture, nonostante le urgenze del premier di silenziare tutto quel che si sa, e quel che ancora si potrebbe sapere da altre intercettazioni, sul mondo nel quale sguazza la sua Cricca. Intanto, il primo provvedimento conseguente alla prima legge fascistissima non ancora varata e già attiva c’è stato (anche se smentito): l’editore, non il direttore, di Chi, settimanale glamour cui spesso si rivolge il premier e che ha nelle donne nude il suo punto forza non solo estivo, ha soppresso la rubrica che Giulia Bongiorno vi tiene insieme a Michelle Hunziker: filo diretto con donne molestate.
“Non piaceva ai lettori” dicono i responsabili. Immagino che si allineeranno Santanché, Mussolini, Prestigiacomo ,Bernardini de Pace, Carfagna e altre dame politiche e forensi della destra. Speriamo che il direttore di Chi venga a piazza Navona, dove incontrerebbe altre epurate, Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, e altre ribelli ai Pavolini di Saxa Rubra.
Dove, da dieci anni, chiedo che siano trasferite le manifestazioni della libertà di stampa. Nemmeno una folla come piazza del Popolo del 3 ottobre 2009 (grazie alla Cgil-informazione) ha potuto fermare il Gran Consiglio e i suoi sicari. Solo se una folla di cittadini si farà sentire nella Stalingrado della comunicazione, disturbando i manovratori mentre imbavagliano e tagliano ciò che non ha licenza dei superiori, le redazioni si svuoteranno per unirsi ai manifestanti e ridurre i Gayda e gli Appelius dell’Eiar a scrivere e recitare da soli i loro notiziari senza notizie. Insomma, la protesta in piazze vicine al parlamento e lontane dall’effettivo potere non basta. O, per capirlo, dobbiamo aspettare un’altra volta Matteotti, Amendola, don Minzoni, Gobetti?
Su Articolo 21 tutte le adesioni e gli interventi:
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