Mafie, una lotta in nome della Costituzione
Se la ricorda l’Italia dello stragismo
di Cosa Nostra, Giancarlo Caselli. Quel terrore di essere a un passo,
«e così era»
sottolinea il magistrato alessandrino, dal diventare uno stato-mafia,
un narcostato. E ora il magistrato piemontese non può che guardare
alla situazione attuale, difficile e pesante, ma pur sempre
potenzialmente capace di poter dare una svolta alla lotta alle mafie.
I passi avanti rispetto a tanti anni fa ci sono, manca forse quella
«volontà politica che analizzi, delle mafie, le relazioni esterne
del potere mafioso». Senza sconti per nessuno. E con ben presenti i
dettami costituzionali che della mafia sono l’antitesi più evidente.
Nel
giorno dei trent’anni dall’omicidio del giudice Bruno Caccia,
massacrato dal clan Belfiore nella Torino che Caselli conosce bene,
l’impeto di Caselli tuona anche contro quei provvedimenti che di
fatto mettono a rischio diversi aspetti del nostro vivere comune,
favorendo le mafie. «Le intercettazioni sono un problema
costituzionale che agisce danneggiando tre livello: quello
dell’informazione, quello delle indagini e quello della sicurezza dei
cittadini». Impensabile parlare di privacy e sicurezza quando
l’impossibilità di indagare permetterebbe a molti di farla franca.
Il dovere di lavorare basandosi sulla Costituzione è proprio di una
politica che vuole dimostrare fino in fondo da che parte stare.
Caselli ritorna sul suo cavallo di battaglia, il processo Andreotti.
Epitome di una politica che tende a replicare logiche di sistema e di
corporazione anche davanti all’evidenza dei fatti. «Per Andreotti
sono comprovati reati di associazione mafiosa fino al 1980» tuona
Caselli: «eppure tutti, da destra a sinistra, evitano di dare il
dovuto peso a ciò che emerso dal processo».
Si
deve ripartire da qui. Per non vanificare ciò che è stato fatto,
per superare «una concezione di mafia come problema da ordine
pubblico». Per evitare «strategie attendiste» e riaffermare la
Costituzione ogni giorno, dalla base.
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