L’offensiva dell ‘ndrangheta contro i giornalisti calabresi
Pallottole in busta, auto bruciate, foto dei familiari con dedica: “Stai attento, fatti gli affari tuoi”. Otto giornalisti calabresi, negli ultimi otto mesi, hanno ricevuto minacce da parte della ‘ndrangheta. È un attacco diretto alla libertà di informazione, che in Calabria si trova oggi in un vero e proprio stato di emergenza.
L’incontro che si è tenuto a Riccione, nell’ambito del Premio Giornalistico Ilaria Alpi, ha ospitato la presentazione del libro Avamposto. Nella Calabria dei giornalisti infami. È un accurato rapporto sulle minacce ai giornalisti, pubblicato nel maggio scorso da Marsilio. Gli autori del volume sono Roberto Rossi, collaboratore di Ossigeno, e Roberta Mani, caporedattrice centrale di News Mediaset. Alla presentazione è intervenuto anche Giuseppe Baldessarro, un giornalista reggino che è stato recentemente raggiunto da un inconsueto ‘avvertimento’ (tre pallottole) da parte della criminalità organizzata.
“Infame” e “sbirro” sono i più ricorrenti epiteti affibbiati ai giornalisti che svolgono dignitosamente il loro lavoro. Ci tiene a precisarlo Giuseppe Baldessarro, redattore del Quotidiano della Calabriae collaboratore di Repubblica: «Noi giornalisti calabresi non siamo eroi o supereroi. Viviamo ogni giorno a contatto con i criminali, e ciò che facciamo è raccontare semplicemente la nostra quotidianità. Questo ai mafiosi dà fastidio». La strategia che i mafiosi adottano per far tacere i giornalisti è molto accurata : la minaccia, oltre all’immediata capacità dissuasiva, ha l’effetto di trasformare un uomo comune in una sorta di eroe. Inizierà a girare accompagnato dalla scorta e, per “motivi di sicurezza”, dovrà limitare il suo lavoro, facendo così il gioco dei boss.
Roberta Mani e Roberto Rossi provano a suggerire qualche soluzione. «La persona minacciata dai clan non deve assolutamente venire isolata dai colleghi. È già successo con gli 8 giornalisti siciliani uccisi dalla mafia e con Giancarlo Siani. Un giornalista isolato tenderà inevitabilmente ad autocensurarsi». Per comprendere a fondo la realtà calabrese è necessario sottolineare che le intimidazioni mafiose non si rivolgono solo ai giornalisti, ma anche ad avvocati, insegnanti e politici che non vogliono piegarsi agli interessi della malavita. È un’intera società ad essere minacciata.
«La prima cosa che si può fare – chiariscono Mani e Rossi – è la scorta mediatica: rendere pubbliche le minacce serve a tutelare chi le subisce. Inoltre bisognerebbe inasprire le pene per chi minaccia i giornalisti: se è vero che “Media is different”, quando vengono colpiti i giornali è tutta la cittadinanza subirne le conseguenze, perché viene leso il diritto non solo di informare, ma anche di essere informati».
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