Le arance insanguinate di Rosarno
“Lo scopo del dossier è quello di restituire verità e giustizia a un territorio, a delle persone e a delle vicende che rappresentano una sconfitta per tutti quanti.” Così Danilo Chirico, dell’associazione daSud, apre questa conversazione dedicata al dossier “Arance insanguinate”, relativa ai “fatti” di Rosarno. Quella di Rosarno è stata una sconfitta annunciata, preceduta da almeno venti anni di tensioni fra i cittadini italiani e i numerosi immigrati che da anni vivono, impiegati nella raccolta agricola, sotto condizioni di sfruttamento e di povertà, senza nessun riconoscimento dei diritti fondamentali.
Almeno tre persone sono morte, dall’inizio degli anni novanta ad oggi, a causa del conflitto fra gli abitanti originari di Rosano e quelli venuti dall‘estero per lavorare e, ci dice Danilo, questo non sarebbe accaduto se a Rosarno ognuno, istituzioni comprese, avesse “fatto la propria parte”.
Allo stesso modo, ci si sarebbe potuti attendere interventi più incisivi anche dopo le vicende di gennaio e la rilevanza che queste, fosse anche per un breve periodo di tempo, hanno ricoperto sui principali mezzi d’informazione italiani e esteri. Poco, al contrario, sembra essere cambiato. Molti dei lavoratori migranti che dopo gli scontri avevano dovuto lasciare Rosarno sono ancora in cerca di una sistemazione, per 250 di loro è in corso il processo di regolarizzazione e qualcuno nel frattempo, ha fatto ritorno al paesino calabrese, ritrovando quelli che, non avendo alternativa, da Rosarno non se ne erano mai andati.
Come in molti altri luoghi d’Italia, anche in questo caso la forza lavoro che gli immigrati forniscono, a basso costo e priva di qualunque tipo di tutela o garanzia, diventa una risorsa cui l’economia locale attinge a piene mani. Quello di Rosarno però, diventa un caso e si distingue dagli altri perché questa volta gli immigrati hanno la forza di denunciare i soprusi e di ribellarsi alla criminalità organizzata. Come “Arance insanguinate” ci racconta, lo hanno fatto, negli anni, in modi ed occasioni differenti di cui i fatti di gennaio del 2010 sono soltanto l’ultimo, drammatico risvolto.
Chiediamo a Danilo quanto ci sia, nell’atteggiamento degli abitanti di Rosarno, di puramente razzista e quanto invece non si debba imputare alla presenza della componente mafiosa. “È una questione di concause“, risponde. “Forse la mafia non ha causato gli incidenti di gennaio, ma li ha senz’altro legittimati poiché nulla del genere potrebbe accadere in un territorio così fortemente controllato senza che la ndrangheta lo consenta. Inoltre alcune delle persone fermate per le aggressioni ai migranti appartengono a delle cosche locali.”
La presenza mafiosa gioca un ruolo che diventa imprescindibile nella riflessione sulle vicende di un territorio come Rosarno, ed è questo soprattutto che daSud vuole sottolineare. “Esiste poi anche una componente di diffidenza e di razzismo, dimostrata nello specifico dalla vera e propria deportazione che a seguito degli scontri ha costretto i lavoratori neri ad abbandonare Rosarno, mentre gli altri lavoratori stranieri sono rimasti a lavorare nei campi.“
Molti di quelli che da Rosarno se ne sono andati, stanno lavorando in Puglia dentro lo stesso meccanismo che vede i lavoratori irregolari spostarsi da una regione all’altra , a seconda dell’alternarsi delle stagioni e delle coltivazioni. “Resta da capire” conclude Chirico, “come si affronterà in autunno il problema della raccolta delle arance, in una situazione esasperata come questa in cui i servizi continuano a mancare”.
Davanti alla preoccupazione di trovarsi nuovamente in una condizione di emergenza, la speranza è che entro l’autunno le nuove istituzioni regionali si facciano carico della situazione. Senza la necessaria assunzione di responsabilità, le istituzioni continuerebbero a rendersi complici delle difficoltà che l’indifferenza e l’ incapacità ad intervenire delle vecchie amministrazioni ha già contribuito a generare e accrescere.
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