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«Beni confiscati, così diamo nuova vita»

Luca Cereda il . Diritti, Economia, Istituzioni, Lavoro, Lombardia, Mafie, Società

Il censimento di Libera: sono 144 soggetti dell’associazionismo e del volontariato, realtà del mondo religioso, gruppi dello scoutismo e della cooperazione a gestire il patrimonio sottratto alle mafie a restituito alla collettività con prospettive di riutilizzo. Giannone: «Esempio di economia sana, pulita e sostenibile».

È la fitta rete delle associazioni di volontariato – molte delle quali nate nelle parrocchie – e delle cooperative sociali che costituisce il “popolo della legalità” che in Lombardia è protagonista della restituzione alla collettività dei beni confiscati ai mafiosi. In occasione del 27° anniversario della legge 109 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, l’associazione antimafia Libera, fondata da don Luigi Ciotti, ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati con la ricerca “Raccontiamo il bene. Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati”.

In Lombardia infatti, in silenzio, opera una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale. Dopo 27 anni dalla legge 109 sono 1.592 i beni immobili confiscati e in gestione, 1.590 quelli destinati al riuso sociale, secondo l’ultimo rilievo dell’Agenzia beni confiscati in Lombardia, aggiornato al 28 febbraio 2023.

«A gestire questo patrimonio sociale che racconta la forza della cultura della legalità in questa Regione, sono 144 i soggetti dell’associazionismo, realtà del mondo religioso, gruppi dello scoutismo e della cooperazione che ogni giorno nella regione che è la “locomotiva del Paese” danno una nuova vita ai beni confiscati, rendendoli sempre di più luoghi comuni – commenta Tatiana Giannone, responsabile beni confiscati di Libera -. Enti che producono un’economia sana e pulita, che non guarda al profitto, ma allo sviluppo della persona e delle sue abilità, un’economia sostenibile e con la mano tesa verso l’ambiente».

In Lombardia delle 144 realtà sociali che gestiscono beni confiscati, il 55% sono associazioni, il 25% cooperative sociali e consorzi di cooperative, il 5% fondazioni. Tra i soggetti gestori del Terzo settore ci sono 80 associazioni, 36 cooperative sociali e consorzi di cooperative, 5 enti ecclesiastici, un gruppo scout, 7 fondazioni e 3 enti pubblici in collaborazione con il Terzo settore.

Delle 144 realtà sociali, 50 soggetti gestiscono beni presenti nella città di Milano, 40 nei comuni dell’area metropolitana di Milano, mentre altri 54 svolgono le attività sociali sui beni confiscati ubicati nelle altre province. Diciotto soggetti gestori hanno scelto di intitolare la loro esperienza ad una vittima innocente delle mafie. Di questi enti sono complessivamente 126 i soggetti gestori che svolgono attività che sono direttamente legate a servizi di welfare per la comunità alla quale i beni confiscati sono stati riconsegnati, di cui 41 si occupano di promozione del sapere, del turismo sostenibile e della cultura. In Lombardia sono inoltre 135 le aziende confiscate, di cui 104 in provincia di Milano, mentre sono 228  quelle ancora in gestione, di cui 139 in provincia di Milano.

«È forte il nostro impegno anche per non far spegnere il dibattito politico e legislativo su questi temi: non siamo disposti ad accettare mutamenti della normativa sulle misure di prevenzione e sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, che riteniamo uno degli strumenti più importanti per il contrasto alle mafie e alla corruzione. Occorre invece che le risorse del Pnrr per la valorizzazione dei beni confiscati interessino tutte le Regioni del Nord a partire dalla Lombardia, e non solo il Sud. A questo vanno aggiunti strumenti sempre più sistematizzati per gestire il grande numero di aziende confiscate per potere trasformare in vera opportunità», conclude Giannone.


I numeri dell’azione di sequestro di beni e attività ai clan mafiosi

“Raccontiamo il bene”: la ricerca fa il punto sui 27 anni della legge 109. In Lombardia c’è una comunità alternativa a quella mafiosa che opera nel silenzio per un nuovo modello di sviluppo.

1.592 Sono i beni immobili confiscati e in gestione dopo 27 anni dalla Legge 109; 1.590 quelli destinati al riuso sociale.

55% di associazioni, 25% di cooperative sociali, 5% fondazioni: questa la composizione delle 144 realtà sociali impegnate in Lombardia.

50 i soggetti che gestiscono beni presenti a Milano città, 40 nei comuni dell’area metropolitana, altri 54 nelle altre province.


Il ranch dove si educa alla legalità

A Oltrona San Mamette un maneggio sequestrato alla ‘ndrangheta è stato affidato dal Comune a due parrocchie.

Per rendere gli spazi agibili e fruibili sono state indette delle giornate di lavoro aperte al pubblico. Don Della Valle: qui gli anticorpi alle mafie

Stanze malmesse, una stalla senza cavalli e un seminterrato dai pavimenti divelti dai sopralluoghi della polizia. Così si presentava il maneggio di Oltrona San Mamette nel comasco, appartenuto al boss di ‘ndrangheta Bartolomeo Iaconis, quando per la prima volta un gruppo di ragazzi è entrato un anno fa. Secondo la magistratura il “Bart Ranch” era uno dei luoghi centrali del controllo del territorio comasco della Locale della criminalità organizzata, dove avvenivano pestaggi e altre attività illecite. Iaconis, già precedentemente arrestato in seguito all’operazione “I fiori della notte di San Vito”, viene nuovamente messo agli arresti nel 2022 per associazione mafiosa e reati fiscali durante l’operazione “Cavalli di Razza”. I beni sequestrati hanno un valore di 1.7 milioni di euro e comprendono 28 immobili, il ranch e alcuni terreni boschivi intorno al maneggio di Oltrona San Mamette.

Nel 2021 il Comune di Oltrona ha manifestato interesse per il bene all’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati ottenendo la gestione provvisoria e decidendo, in attesa di un’assegnazione definitiva da parte delle autorità, di concederne l’utilizzo alla parrocchia all’associazione “Rebbio Solidale” della parrocchia di San Martino di Rebbio e Santo Stefano di Appiano Gentile: «Il ranch era fermo da tre anni. Una parte era in ristrutturazione e una parte era stata demolita dalla Digos per cercare eventuali soldi nascosti, che poi ha trovato», racconta il parroco don Giusto Della Valle.

Per iniziare ad occupare il posto sono state portate da subito delle pecore, che vengono attualmente accudite insieme ad altri animali. Con questo pretesto il bene viene frequentato quotidianamente dagli allevatori e da alcuni volontari. Ora l’obiettivo è quello di “coltivare una nuova collettività”, creando circoli virtuosi, principale anticorpo alle mafie, invitando la comunità a riappropriandosi degli spazi. Per fare ciò, la parrocchia ha indetto delle giornate di lavoro aperte al pubblico. Lo scopo è quello di rendere gli spazi nuovamente agibili, restituirli alla cittadinanza e destinarli ad un utilizzo sociale. «

Il nostro ruolo vuole essere di facilitatori iniziali della gestione del bene – aggiunge don Della Valle -. Vorremmo far vivere nella casa colonica persone seguite dalla Caritas che non riescono a trovare un alloggio. Inoltre l’ex rimessa di slot machine può diventare luogo di incontri, o laboratorio di espressione artistica. Infine vorremmo avviare piccole attività di allevamento e di produzione agricola insieme ai giovani con l’obiettivo di educare alla legalità».

Fonte: Avvenire, 12/03/2023

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