Una taglia per catturare Messina Denaro
La notizia è comparsa sul settimanale
“L’Espresso” a firma di Lirio Abbate. Ambienti investigativi
l’hanno confermata. Stessa cosa hanno fatto i magistrati della Dda di
Palermo. Un milione e mezzo di euro offerti dai servizi segreti, ma
c’è l’avallo del ministero dell’Interno, ad un imprenditore trapanese
(rimasto senza identità) per far catturare il nuovo capo di Cosa Nostra,
il castelvetranese Matteo Messina Denaro. Soldi per incrinare quel muro
di complicità che circonda la latitanza del boss. E però la notizia
di un bel «gruzzolo» di soldi posto a disposizione danno l’impressione
dell’esistenza di una nuova «trattativa».
Mani sporche di sangue quelle di Messina
Denaro, che da quando la mafia ha finito di piazzare bombe e far delitti
si sono pulite con i denari degli appalti, «grandi appalti garantiti
da uomini dello Stato». «Vorremmo che i soldi lo Stato li metta a
disposizione di chi davvero cerca il boss latitante – dicono i sindacati
di Polizia – considerato che i fondi stanziati per pagare missioni
e straordinari sono sufficienti a pagare due mesi di attività all’anno».
Il Ministero dell’Interno per cercare il latitante ha organizzato
un pool del quale fanno parte i poliziotti delle Squadre Mobili di Palermo
e Trapani, e dello Sco (Servizio centrale operativo) di Roma, investigatori
che hanno già condotto tre operazioni antimafia contro Messina Denaro
e però spesso il problema è quello di come gestire le missioni del
personale impegnato, proprio per la scarsità dei fondi.
Messina Denaro oggi è protetto
dalla cosiddetta «area grigia» della mafia, suoi complici sono
imprenditori e professionisti. Ma a proteggerlo sono anche i documenti
portati via in tutta fretta dai mafiosi nel 1993 dal covo di via Bernini
di Palermo dove si nascondeva Riina, prova dell’esistenza di contatti
tra Cosa Nostra e lo Stato, moderne armi in mano al capo mafia latitante,
per mantenere vivo un possibile ricatto. Il boss finora non ha mollato
nemmeno davanti al fatto di avere una figlia di 12 anni, mai vista:
«Lei inizia a fare domande sul padre, inizia a capire e lui non può
continuare a ignorarla» si lamentava Lorenza Santagelo, mamma del boss,
parlava, venendo intercettata, con l’altro figlio, Salvatore.
I «servizi» a suo tempo tentarono
anche la carta del coinvolgimento di un ex sindaco di Castelvetrano,
Tonino Vaccarino, uno chiacchierato e processato per mafia. Contatto
tenuto segreto alla Procura di Palermo per tre anni, fino a quando Vaccarino
non fu intercettato dalla Polizia a scambiarsi pizzini con emissari
del boss, scambio espistolare per ordine del Sisde. Di recente il procuratore
aggiunto della Dda, Antonio Ingroia, ha parlato dell’esistenza di
«coperture eccezionali» per la latitanza del boss e Giovanna Maggiani
Chelli, vice presidente dell’associazione dei familiari delle vittime
della strage di Firenze del 1993 (in attesa che lo Stato risarcisca
i danni civili per quei morti e quei feriti delle bombe mafiose) commenta:
«La pantomima continua possibile che per catturare l’elegantissimo
boss mafioso, bisogna pagare qualcuno con denaro pubblico, non sarebbe
molto più facile individuare in Parlamento tutti quei politici che
si sono collusi con Matteo Messina Denaro».
Si pensa alla taglia mentre con il Ddl
in discussione si prevede un tempo massimo sulle intercettazioni di
75 giorni, «e se al 74° giorno ascoltiamo la voce di Messina
Denaro che facciamo?» si chiede un investigatore.
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