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Calcio: uno sport di distrazione di massa?

Di Elena Ciccarello (da Narcomafie) il . Interviste e persone

Il calcio muove interessi troppo grandi per non attrarre l’attenzione di faccendieri, criminali e potentati economici. Lo sa bene Oliviero Beha, che ne ha sviscerato implacabilmente i lati più oscuri fin dal 1980, quando dalle colonne del quotidiano «la Repubblica» ha dato il via al primo “scandalo del calcio-scommesse” italiano. Molti ricordano quel 23 marzo 1980, giorno in cui l’Italia del calcio perse la sua innocenza  in diretta televisiva, di fronte alle immagini della retata degli agenti che, sui campi da gioco, chiusero le manette ai polsi di alcuni tra i più famosi calciatori dell’epoca (Bruno Giordano e Lionello Manfredonia, per ricordarne un paio). Lo choc fu enorme, tanto quanto lo fu il clamore mediatico,  ma su quello Beha non fa sconti: «Quando si tratta di guadagnare i soldi di fronte a pubblici e platee oceaniche va tutto bene, allora perché lamentarsi se gli arresti vengono fatti di fronte allo stesso pubblico?».Ripercorriamo quei momenti per confrontarli all’oggi: «Cosa è cambiato? Che allora la gente si indignava mentre oggi dà per scontato che sia più o meno tutta una truffa. Comunque si continua a non ammetterlo: i tifosi dell’Inter se ne fregano dell’idea che Moratti possa aver comprato la coppa, quelli vanno in giro a festeggiare comunque. Sono andati a Madrid in 30 mila. Figurati, cosa vuoi dirgli? La comprerebbero loro la coppa: farebbero una colletta!».

Eppure, Oliviero, qualcuno ridimensiona anche quel primo scandalo, del 1980. Uno dei suoi protagonisti, Carlo Petrini, sostiene che a quel tempo «mettere in vetrina il calcio serviva a nascondere la vergogna» di un altro scandalo, quello di Italcasse…


Allora seguendo questo criterio si potrebbe dire che lo scandalo di Scajola sia venuto fuori per nascondere lo scandalo di Matteoli, ma diventerebbe una catena senza fine. Anche se è sacrosanto avere il dubbio che funzioni così, con scandalo che copre scandalo, poi la buona fede va misurata sul fatto che succeda qualcosa. E purtroppo nel caso del calcio, come nel caso di Scajola, non succederà niente.

Una storia di occasioni mancate?


Quando nell’84 ho tirato fuori la truffa, enorme, dei mondiali di calcio dell’82, dimostrando che l’Italia aveva vinto aggiustando una partita con il Camerun, ci ho rimesso la carriera. Ho ricevuto delle minacce di morte dalla nuova camorra di Michele Zaza, ma allora queste storie non avevano alcun richiamo mediatico.

Minacce da parte della camorra, perché? 


Perché già allora le scommesse sul calcio e le partite truccate passavano attraverso la camorra. Così come oggi molte scommesse –  ormai legali – sono gestite dalla criminalità organizzata. La prova sta nel fatto che persino in questo campionato, considerato tanto bello per la competizione fino alla fine tra Inter e Roma, ci sono state decine di partite su cui gli scommettitori non hanno più accettato le puntate. E parlo degli scommettitori professionisti, non del mondo clandestino.

«Basta distrarsi 48 ore e ti lasciano in mutande», sono le parole di Ludovico Calvi, amministratore di Lottomatica scommesse. Si assiste ad un vero e proprio assalto alla diligenza insomma…


Le sue parole perfezionano quel che ho detto. Hai però visto reazioni particolari, politiche, nel senso più proprio del termine, a queste affermazioni? Non ce ne sono. Questa situazione è data per scontata. Si accetta un calcio di zozzoni, va bene così finché dura.
Il mondo del pallone è gestito come “cosa loro”, per cui fanno uscire gli scandali quando vogliono, e quando vogliono li minimizzano e li circoscrivono, come successe quattro anni fa per il caso Moggi e Calciopoli. Per ripulirlo veramente occorrerebbe che chi lo gestisce si autoaccusasse. Come per la politica: per dare un vero segnale di rinnovamento i politici dovrebbero autoaccusarsi e dire «è vero, siamo stati noi!». Riesci a immaginare che lo facciano? Io no, motivo per cui non immagino neppure i vertici della Federcalcio recitare i mea culpa.

Le ombre sul calcio non si limitano comunque a scommesse e partite truccate. Nel luglio 2009 l’Ocse ha pubblicato un rapporto circa le sue vulnerabilità sul fronte del riciclaggio, conseguenza, prima di tutto, del bisogno di soldi dei club. Conteneva un riferimento neanche troppo velato al caso della Lazio e alle pressioni del clan dei casalesi che ne tentarono la scalata tra il 2004 e il 2006. Pensi che la crisi abbia peggiorato la situazione?


Secondo me sì, anche perché la tenuta dei club era legata all’assenza del vizio economico che oggi governa il calcio professionistico e a scalare le serie inferiori. Oggi non ci sono più soldi: a parte la serie A, che ancora gode dei denari dei diritti tv, sia pure mal spesi e con forti sospetti di bancarotta, la serie B è già in crisi profonda, e non parliamo della serie C1 – che adesso chiamano Lega Pro –  ma per capirci C1 e C2 e D. Anche in quest’ultima serie le squadre prendono soldi e spesso in nero. Pensa al panorama che si offre ai ragazzi che in qualche modo sull’idea di diventare Totti e Buffon sacrificano la loro vita – spinti anche dai genitori – e poi dopo anni passati come ostaggi nel calcio si ritrovano, dato che non ci sono soldi, senza nessun tipo di futuro. Da questo punto di vista la situazione è molto peggiorata.

Pensi che il calcio minore sia particolarmente esposto anche nei confronti della criminalità organizzata?


Il calcio giovanile è vulnerabile prima di tutto perché è socialmente e sociologicamente diverso. I ragazzini potrebbero dare un futuro diverso a questo sport ma verso di loro continua a perpetrarsi un orrendo reato antropologico, culturale, economico e politico. Certo, va detto, tutte le strutture del calcio sarebbero da rivedere, ma quando parliamo del livello professionistico parliamo di un numero ristretto di persone: invece dopo la serie A esiste a scalare una miriade di squadre ormai senza soldi, con giovani o vecchi-giovani delusi, con il calcio che non è più calcio, con partite arrangiate, arbitri picchiati, minacce della delinquenza organizzata e scommesse pilotate. Un vero e proprio pozzo di San Patrizio.

Se guardiamo in alto lo spettacolo però non migliora. Il presidente della Federcalcio inglese Lord David Triesman si è dimesso dal comitato England 2018 qualche settimana fa dopo esser stato pizzicato mentre confidava ad una ex collaboratrice di un presunto accordo Spagna-Russia per comprare gli arbitri dei prossimi mondiali… 


L’episodio non stupisce. Fantascientifico per certi versi, ma non così lontano da ciò che è possibile che accada. Vogliamo provare a fare delle previsioni sui mondiali sud africani? Iniziamo dicendo che è escluso che l’Italia vinca di nuovo: non ha la squadra e non conviene a nessuno. Quali sono le squadre che possono vincere? Quella teoricamente migliore è la Spagna perché ha iniziato un percorso agli europei due anni fa e poi è stata eliminata per caso dalla Francia durante gli ultimi mondiali, morale della favola: è una delle favorite. Seconda possibilità, l’Inghilterra, che non vince da un pezzo e sul piano del colonialismo calcistico funziona nell’immaginario collettivo. Terza: l’Olanda. Pensa un’Olanda boera che vince in sud africa, sarebbe un colpo formidabile da tanti punti di vista. Ovviamente escludo che possa vincere una squadra africana, perché, prima di tutto, non ne ha le capacità, né il sud africa che ospita i giochi né le migliori squadre africane; secondo, non conviene a nessuno. La squadra africana che vince non è un buon affare, va bene al massimo che vada in semifinale.

Quindi Spagna, Inghilterra e Olanda… < /p>


C’è un’altra ipotetica vincitrice: una squadra tra le due più forti del mondo, Brasile o Argentina. Nazionali che vincono quando i campionati non si disputano in Europa. Perché in Europa vincono le squadre europee, nelle americhe vincono le sud americane. Potrebbero vincere il Brasile o l’Argentina perché si gioca per la prima volta in Africa, come 8 anni fa quando per la prima volta hanno giocato in Corea e infatti vinse il Brasile. Se mi chiedi un parere, comunque, io penso che siano favorite le tre squadre europee.

Detta così il calcio e le competizioni internazionali appaiono come la camera di compensazione di interessi che superano la competizione sportiva…


Certo: pensa al petrolio. Il calcio come affare della Fifa tiene conto di una serie di esigenze. Per esempio, la Russia di Putin, eliminata dai mondiali, rappresenta il futuro del calcio. Con il petrolio della Gazprom. Così come il futuro sarà dell’Asia, con il petrolio degli Emirati. E se guardiamo in Italia scopriamo che si sono giocate lo scudetto: una squadra che è fondata sulla Saras, l’Inter, una che è fondata sull’Italpetroli, la Roma, e la terza squadra, il Milan, che Berlusconi vorrebbe vendere a Putin, cioè, di nuovo, alla Gazprom. E chi è arrivato quarto? La Erg, la Sampdoria. Insomma qualcuno è legittimato a fare uno più uno, o no?

Allora, secondo questa logica, perché  l’Italia avrebbe vinto i mondiali quattro anni fa?


Abbiamo vinto per il livello modestissimo delle squadre in circolazione e per la consuetudine di far vincere in Europa un’europea. L’Inghilterra non aveva la squadra, la Spagna si è persa per strada e le due squadre europee migliori, più adatte al torneo restavano l’Italia e la Francia. È stato un concorso di circostanze. Se la domanda è: pensi che il mondiale se lo siano comprato? La risposta è no. In quel caso era credibile, per la grande pressione dello scandalo in casa di Calciopoli, che combinassero qualcosa. Viceversa, perché adesso non possono vincere? Perché i giocatori non si reggono in piedi e non conviene a nessuno. L’Italia che vinceva in Germania aveva una sua ragione d’essere, l’Italia che vinceva in Spagna nel 1982, a tanti anni di distanza dalle coppe del mondo vinte ai tempi di Mussolini, l’ultima nel 1938, aveva una ragione d’essere. Adesso non c’è alcuna ragione.

Pensi che al prossimo mondiale si verificheranno casi di corruzione? L’episodio inglese lo suggerirebbe…


È possibile che non si verifichi alcun episodio corruttivo in senso stretto ma che si riproponga in senso strategico il clima di corruzione complessivo che – lo pavento da tempo – esiste nei campionati delle varie nazioni e sul piano internazionale. È una conseguenza del mercato: metti insieme gli interessi economici e il mercato della credibilità, dei diritti tv, il fascino di calciatori ormai testimonal di tutto e mescola tutto come fossi un barman: vedi che mistura ne esce.

Sembra il segreto di pulcinella, eppure denunciare tutto questo non è semplice. Nel libro Calcio mafia Declan Hill ha messo in fila decine di casi di giornalisti, arbitri e giocatori che mentre cercavano di ripulire il calcio dal fango sono stati emarginati e messi a tacere…


Il calcio non punisce, ma sposta. Sposta l’attenzione. Perché nel caso del calcio c’è una componente irrazionale per cui anche chi è consapevole di quanto accade, e qualcuno sa bene che succedono  cose orrende, poi se ne dimentica durante la partita. Si distrae. Il calcio è un potentissimo diversivo.

da www.narcomafie.it

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