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Su Graviano in tv Baiardo non dice tutta la verità

Gian Carlo Caselli il . Corruzione, Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria

Non è l’Arena di Massimo Giletti nella puntata di domenica scorsa ha fatto un buon risultato: uno share dell’8,3% per 1.252.000 di ascoltatori. C’era dunque attesa per la nuova intervista di Salvatore Baiardo, che qualche mese fa – sempre nella trasmissione di Giletti – aveva parlato di un Matteo Messina Denaro gravemente ammalato e ne aveva “previsto” l’arresto.

Non ho elementi per dire se Baiardo abbia doti profetiche o sia il ventriloquo di qualcuno, anche se – ovviamente – mi sento di escludere la prima ipotesi. Mi interessa di più rilevare alcune incongruenze nel suo racconto.

Sostiene lo spensierato Baiardo – se ho inteso bene – che i fratelli Graviano (all’ergastolo per gravi delitti di mafia) sono bravi ragazzi che da giovani magari han fatto delle fesserie, ma poi volevano cambiare vita trasferendosi al Nord, tant’è vero che nel 1994 sono stati arrestati a Milano.

La “tesi” contrasta con quanto rivelato da un fedelissimo di Giuseppe Graviano, Gaspare Spatuzza, già killer di Brancaccio poi pentito. Spatuzza afferma di avere incontrato Graviano (an­cora latitante) il 19 o il 20 gennaio 1994 nel bar Doney di Roma, pochi giorni prima di un attentato che si sarebbe do­vuto verificare il 23 gennaio allo stadio Olimpico della città. Un attentato molto più sensazionale e sanguinario di tutti i precedenti, con un’auto imbottita di tritolo e tondini di fer­ro, capace di causare centinaia di vittime fra i Carabinieri in servizio e di colpire assieme a loro famiglie, uomini, donne e bambini, che erano allo stadio.

Graviano disse a Spatuzza che era necessario compiere l’attentato contro i Carabinieri allo stadio perché si doveva dare “il colpo di grazia”. E “ave­va un’aria gioiosa”, perché – ricorda Spatuzza – disse “che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa”, per cui “c’eravamo messi il Paese nelle mani”.

Come noto l’attentato allo stadio Olimpico per fortuna fallisce; il congegno d’innesco non funziona, per motivi non del tutto chiariti. Poi la storia d’Italia cambia, sia per la mafia sia per la politica. Perché il 27 gennaio Giuseppe Graviano viene appunto arrestato a Milano insieme al fratello Filippo.

Ora, che i Graviano non avessero tutta questa voglia di cambiare vita come racconta Baiardo, emerge già nel libro Lo stato illegale che ho scritto per Laterza (2020) insieme a Guido Lo Forte.

Ecco i fatti. Dopo la cattura di Giuseppe Graviano, a capo del manda­mento di Brancaccio viene collocato Antonino Mangano. Arrestato, Mangano viene trovato in possesso di vari documenti. Di eccezionale interesse tre lettere scambiate con Giuseppe Graviano (che si firma sobriamente “madre natura”) detenuto sottoposto a 41 bis, all’evidenza – nel caso di specie – assai “allentato”. Di tali lettere, riporto testualmente qualche brano che non ha bisogno di alcun commento.

Scrive Graviano: “Ci sono venti carcerati che sono rovinati processual­mente e non hanno mezzi economici per affrontare la situa­zione; l’impegno è di darci dai tre a quattro appartamenti ciascuno per avere un futuro economico sicuro sia loro che le loro famiglie; sempre i carcerati mi chiedono perché gli è stato dimi­nuito il mensile dopo il mio arresto; solo per me spendo venti milioni al mese di avvoca­to, vestirmi, libretta e colloqui; quando ero fuori si incassavano 800 milioni annuo (sic) effettivi + da 1 a 1 e 1/2 miliardi extra; i costruttori che sono in moto debbono uscire que­sti appartamenti; se qualcuno babbìa (fa il finto tonto, ndr) vi dico io quali sono stati i patti ; non fate società con i costruttori che ho io, forse qualcuno babbìa e gliela debbo fare pagare, chi approfitta dei carcerati la paga perché è un infame”.

Infine Baiardo ha diffidato dal chiamarlo pentito (stanno, dice, fioccando le querele…). Evidentemente, Baiardo considera in cuor suo feccia infame chi collabora con la giustizia. Un atteggiamento sciagurato e inquietante.

Perché Matteo Messina Denaro, di cui si stava parlando, riporta alla mente l’orribile vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, sequestrato tenuto prigioniero e maltrattato per 779 giorni, alla fine strangolato e sciolto nell’acido, in quanto figlio di uno di quei pentiti così invisi a Baiardo: Santino Di Matteo, il primo pentito  ad aver rivelato dinamica e protagonisti della strage di Capaci.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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