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I pezzi mancanti

Di Norma Ferrara il . Recensioni

E’ stata una guerra di servizi. Di spie, di mosse precise, calcolate da un lato della barricata, ma anche dall’altro. Una guerra di mafia e non solo di mafia, in cui tutto si è giocato sulla pelle dei cittadini e sulle sorti di questa democrazia. Più di quarant’anni di lotta alla criminalità organizzata in Italia hanno lasciato moltissimi interrogativi aperti, “pezzi mancanti” che sono rimasti scolpiti nella mente dei giornalisti che, in prima linea o dalle retrovie, hanno raccontato questa lunga battaglia. Così capita che, dopo aver riempito taccuini, cassetti, scrivanie, un cronista palermitano decida di tirare una linea di demarcazione e cominciare a fare quello che chiama: «l’inventario delle prove mancanti». Il giornalista è Salvo Palazzolo, cronista di punta de La Repubblica a Palermo, avanguardia di una generazione di giornalisti che si sono trovati ad essere vittime, testimoni e artefici della Palermo scalata dai corleonesi, saccheggiata dai Lima e Ciancimino e diventata luogo di scontro fra poteri e criminali. Hanno visto tutto, hanno seguito e scritto quello che era possibile dire, quello che si riusciva a capire, ma tutte le volte, di fronte a delitti politici, stragi mafiose, hanno dovuto arrendersi e annotare sui propri taccuini, presto sostituiti con files dei loro PC «prova non pervenuta». Dove sono finiti gli appunti di Peppino Impastato, l’agenda del commissario Ninni Cassarà, le video cassette di Mauro Rostagno, la relazione dell’agente Nino Agostino, i files di Giovanni Falcone, l’ agenda di Paolo Borsellino, il dossier del maresciallo Antonio Lombardo e tutte le altre prove trafugate dagli infedeli servitori dello Stato. Chi sono i mandanti occulti dei delitti eccellenti di Cosa nostra e gli insospettabili tesorieri? Quali le complicità e le trattative con la politica? Palazzolo nel suo “I pezzi mancanti – viaggio nei misteri della mafia”prova a mettere insieme gli elementi per una risposta ma soprattutto sceglie di raccontare la storia della mafia e dell’antimafia attraverso le cose che ancora non sappiamo. Fu una guerra di servizi quella del fallito attentato all’Addaura, tornato in questi giorni sulle cronache dei giornali. L’ottavo capitolo delle “prove mancanti”, Palazzolo lo dedica proprio alle strane circostanze che nell’estate del 1989 salvarono la vita al giudice Giovanni Falcone nel mirino di Cosa nostra. Erano gli anni in cui, nella più stretta riservatezza, il mafioso Totuccio Contorno, dopo essere stato arrestato, rientrato in Sicilia, stava cominciando a collaborare con la giustizia. Cosa nostra aveva i suoi informatori, e in uno strano capovolgimento di fronti, non è solo lo Stato ad attingere informazioni sulla mafia, ma anche il contrario. Molto spesso il contrario. Negli stessi giorni compaiono le “Lettere del Corvo”, missive di delegittimazione sull’operato del giudice Falcone. «In quei giorni il magistrato è preoccupato – scrive Palazzolo – ipotizza in un’intervista che un’opera di delegittimazione sia in atto, rimandando a un’unica matrice gli ultimi fatti accaduti. Da quel momento Falcone sa che dovrà essere ancora più prudente nelle indagini che sta conducendo». Un’accortezza che non servirà molto perché le talpe dentro le istituzioni riusciranno persino a sapere che il magistrato la mattina del 19 giugno dell’89 inviterà due colleghi svizzeri a Palermo per una rogatoria e un bagno nel mare della Addaura, per il pomeriggio del giorno dopo. Scrive Palazzolo: «qualcuno comunica la notizia ai sicari di Cosa nostra, in modo che vengano predisposti per tempo 58 candelotti di esplosivo dentro una borsa da sub davanti alla villa del magistrato, sugli scogli. Solo per un caso la gita al mare salta e per un caso la strage viene evitata. Si tratta di un’altra delle tante verità ancora a metà. A distanza di anni sembra esserci stato in quel 1989 una grande confusione fra gli organi dello Stato chiamati a vario titolo a contrastare la criminalità organizzata. Invece di puntare dritto ai mafiosi si fanno la guerra fra di loro». Falcone aveva capito che quell’ attentato era stata opera di menti raffinatissime. Oggi si sa che forse a disinnescare quell’esplosivo sarebbero stati due poliziotti, in forza ai servizi segreti, poi successivamente uccisi, Nino Agostino ed Emanuele Piazza. In questi giorni si stanno svolgendo le indagini sui Dna sulle tute da sub probabilmente indossate da coloro i quali fecero fallire l’attentato. Questa è solo una delle tante storie di pezzi mancanti, una fra le più delicate e attuali, che il libro di Palazzolo ripercorre, mettendo insieme ricordi, testimonianze, atti e cronache giudiziarie. «Le stesse che formano il diario che ogni cronista di Palermo tiene mente» scrive Palazzolo. Dentro vi sono annotate le domande rimaste senza risposta ma anche alcune risposte ancora troppo evasive o troppo certe di una verità. Ogni cronista siciliano ha scritto un pezzo di questo diario. Qualcuno anche con il sacrificio della propria vita. Palazzolo li ricorda tutti: «Cosimo Cristina, Peppino Impastato, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Pippo Fava Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Loro – conclude Palazzolo – sono stati uccisi prima che potessero completare i loro articoli». E anche le loro morti sono pezzi mancanti nell’inventario della lotta alla mafia in questo Paese.

Salvo Palazzolo

I pezzi mancanti

Laterza

16 euro

pp. 293

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